Brescia, 8 novembre 2015 - «Ohé, pelato!». In un rettangolo d’erba alla periferia di Brescia c’è un ragazzino di undici anni che gioca al pallone. Il pallone è uno sport ideale, che viene prima del calcio fatto e finito, ed è la fanciullezza del mondo, prima di ogni intruppamento agonistico, con buoni o cattivi maestri, buoni o cattivi compagni. Il problema è che il mondo non è mai stato fanciullo e il ragazzino che gioca al pallone, con gli altri ventuno, è calvo. L’alopecia gli ha portato via i capelli. «Ohé, pelato!». Un tormento a spilli, una bolla sonora e irridente. Lui, più indifeso degli altri: perché nell’ignavia del becero pregiudizio anche un ragazzino senza capelli è marcato alla distanza del diverso. Gli avversari sembra quasi se lo siano detti al passaparola. L’altro giorno il ragazzino che gioca al pallone non ce l’ha proprio fatta: all’ennesimo motteggio degli avversari un fiotto di lacrime gli ha ingorgato la vista. Voleva scappare a casa. «Ohé pelato!». Ma il suo allenatore lo ha convinto a rimanere in campo, uno spalto di dignità fino al fischio finale. In quel momento il tecnico ha affiancato il ragazzino e, davanti a tutti, rasoio in mano, s’è rasato a zero: «Anche pelati si può vincere» - ha esclamato il mister. La morale, per qualcuno, potrà anche essere un lusso incomprensibile, ma almeno ci consola sapere che il ragazzino, fra tanti mediocri maestri, ne ha trovato davvero uno buono.
CalcioIL CASO Un mister "pelato"