
Atalanta presenta il progetto Deacademy Elite con Asd Ausonia 1931, puntando alla crescita dei giovani calciatori.
"I risultati sportivi certamente fanno piacere, ma non è quello l’obiettivo primario del settore giovanile. La soddisfazione più grande, il vero scudetto, è vedere i giovani arrivare in prima squadra". Roberto Samaden, da due anni responsabile del vivaio dei bergamaschi dopo 33 stagioni all’Inter pieni di soddisfazioni (17 titoli vinti), alza l’asticella e guarda avanti. Cercando i nuovi Vlahovic e Palestra. Varcando la linea di confine del proprio territorio, perché l’Atalanta può e deve essere un modello per tante società. Soprattutto quelle dilettantistiche.
In quest’ottica è stato presentato a Milano il progetto “Deacademy Elite“, che segna l’inizio della collaborazione con la storica scuola calcio meneghina Asd Ausonia 1931. A far gli onori di casa il presidente Mario Di Benedetto, il vicepresidente Alberto Campelli e il ds Domenico Lattante. Numerosi gli allenatori presenti e che hanno ascoltato con interesse i consigli sull’approccio giusto da avere con i giovani, in quella che è stata la prima tappa di un “tour“ che vedrà la Dea in giro per l’Italia, dove verranno inagurati nuovi Centri di Formazione.
"La filosofia dell’Atalanta non è solo sportiva, sposare questo progetto vuole dire condividere tanto altro, al di là della ricerca di talenti. Vogliamo che i ragazzi crescano bene, con dei modelli positivi, come quelli che da anni sono un punto di riferimento per i ragazzi che arrivano a Zingonia. Un lavoro importante, mirato alla crescita e alla valorizzazione", dicono in coro Di Benedetto e Samaden, quest’ultimo accompagnato da Maurizio Marchesini (Responsabile progetto Deacademy) e Martina Quintarelli (Corporate Social Responsability Manager Atalanta).
Si è sottolineato il concetto di "territorialità", visto che la gran parte delle squadre del vivaio dell’Atalanta sono formate al 90% da giocatori lombardi. "Bisogna dare spazio ai giovani, crederci, aiutarli. Cosa deve guardare un allenatore? Capire se un ragazzo, sin da piccolo, sa giocare a calcio, perché quello è un dono innato". G.M.
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