Là dove c’era l’erba ora resta il cemento

In una sola notte la Giunta uscente firmò 40 licenze edilizie. Così i capitani d’industria saccheggiarono il territorio a norma di legge

Là dove c’era l’erba ora resta il cemento

Là dove c’era l’erba ora resta il cemento

Guido

Nozzoli

Quell’estremo lembo di periferia lecchese chiamato la Bonacina, raccolta attorno al profilo spoglio e severo della chiesa romanica di Sant’Egidio, si innesta in una valletta carica di rustica suggestione che sale tra il verde verso il Passo del Lupo, stringendosi progressivamente sino ad annullarsi in un sentiero solitario appena accennato tra i sassi. È un angolo di mondo quieto e incantato sospeso tra il grigio chiaro del cielo e il grigio frusto del lago, un itinerario caro ai lecchesi che vi si avventurano come in una loro riserva segreta e privatissima durante la buona stagione. Giù, poco discosto dalla chiesa, sorse, tanti anni fa, il "Polverificio Piloni", quasi nascondendosi tra gli alberi come per far passare inosservata la sua presenza.

Il signor Piloni era un uomo all’antica, che manipolava le sue polveri diaboliche senza far chiasso, che, alla fine di ogni stagione teatrale, copriva le passività degli spettacoli assicurando la continuità di quelle manifestazioni cultural-mondane, e che portava avanti la sua azienda cercando di non provocare danni al paesaggio a cui, in fondo, doveva essere un po’ affezionato. Poi il polverificio chiuse i battenti, la famiglia Piloni si andò estinguendo, e tutta l’area attorno allo stabilimento abbandonato venne saggiamente destinata dal piano regolatore generale a zona agricola. Intanto cominciarono ad annidarsi nei dintorni povere famiglie di manovali risalite dal Meridione a cui ora, per l’istruzione dei figli viene offerta una "pluriclasse" che funziona come può e in cui, l’ultimo anno scolastico, cinque degli otto allievi della terza elementare sono stati bocciati. Ma, con i manovali del profondo Sud, sono arrivati alla Bonacina anche i capitani d’industria che, tra le loro preoccupazioni, non hanno certamente quella di salvaguardare il panorama. E lo ha confermato l’azienda meccanica Morganti la quale, rilevato il vecchio polverificio, ha abbattuto intorno un buon numero di alberi secolari per far posto a un enorme capannone-officina che, s’affaccia impudicamente da un poggio con tutta la sua deprimente bruttezza. Il primo scempio era appena stato compiuto quando si faceva avanti un’altra pattuglia di industriali preceduta da una formazione di ruspe e di sterratori per edificare, poco distante dall’imbocco del sentiero che conduce al Passo del Lupo, il massiccio stabilimento delle "Galvaniche Riunite Lecchesi".

Un impianto che, oltre a procurare un’altra ferita insanabile al paesaggio, ferisce quotidianamente le narici degli abitanti con il fetore nauseabondo degli acidi (poi destinati a finire, sia pure filtrati, nel torrente Caldone). Così la "zona agricola" è diventata una graveolente "zona industriale" con tutte le conseguenze immaginabili. Compreso l’aumento delle autovetture nelle strettoie dell’abitato, che ha costretto il parroco a trasformare con cristiana sollecitudine in parcheggio (a pagamento) il cortile dell’oratorio.

E la tutela del paesaggio? E la disciplina del piano regolatore? Non si pensi, però, che i capitani d’industria abbiano conquistato e manomesso queste terre con un colpo di forza, con un’azione a sorpresa. Essi hanno occupato le aree e costruito i loro orridi scatoloni con tutte le carte in regola, con tanto di licenze timbrate e firmate dagli appositi uffici. Se mai, volendo proprio guardare per il sottile, ci si potrebbe soffermare un istante sulla data 9 luglio 1970 posta in calce alle autorizzazioni. Il mandato del sindaco Rusconi e dei suoi assessori era scaduto il 7 giugno e per la sera del 9 luglio era stato convocato il Consiglo che avrebbe eletto il nuovo sindaco Puccio. Proprio nelle ultime ore qualcuno degli amministratori uscenti, rimasto formalmente in carica per il disbrigo delle pratiche di ordinaria amministrazione, invece di concedersi un riposo in previsione della cerimonia serale, affrontava con ineffabile dedizione una sfibrante giornata di lavoro. Pensate, durante il primo semestre del 1970 erano state concesse meno di 70 licenze edilizie: in quell’afoso giorno d’estate, in un irrefrenabile slancio di alacrità, ne vennero firmate più di 40, tra cui quella per la nuova sede della SIP di via Tonale e quella per il puzzogeno della Bonacina. Il 9 luglio del 1970 è veramente una data da non dimenticare nella storia dell’edilizia di Lecco e dintorni. Poco male se, insieme alla data, i posteri ricorderanno i dati anagrafici dell’infaticabile firmatario. Senza nome la sua figura acquisterà, con il tempo, il valore fascinoso di un simbolo: quello dell’amministratore devoto e disinteressato sino al l’ultimo istante del suo mandato amministrativo.