
Il sogno realizzato di Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri, allieve di chef Leemann. Materie prime, stagionalità, sperimentazioni, testa “aperta“ al nuovo e sorrisi.
Visto da qui, il recinto dorato dell’iper-centro di Milano pare lontano mille miglia. E la consapevolezza arriva quando, all’ingresso di Greco, Google Maps invita a infilarsi in una strada a senso unico che considerare appartata è un eufemismo. Diamine, è periferia pura. Certo che lo è. E fieramente. Perché nulla è più stimolante di un locale speciale dove non ti aspetti di scovarlo. Segno che se i pregiudizi resistono, prima o poi crollano. Come capita quando ascolti la storia di Sara Nicolosi e Cinzia De Lauri cresciute nel ristorante Joia dello chef Pietro Leemann e capaci, in poco tempo, di fare del loro “Altatto” uno degli indirizzi più accattivanti, open mind ed empatici della città. Alla faccia di chi considera la ristorazione vegetariana e vegana come un’eresia. La visita s’impone. E le sorprese arrivano in quantità. Lo spazio di piccola taglia fa tenerezza. Ma basta un attimo e ti rendi conto dell’energia che circola nel bistrot con 15 coperti epurato e zen, rivestito da applicazione di terra cotta spatolata. E pensato dalle due padrone di casa nel 2019 come estensione del laboratorio catering avviato, per celebrare la biodiversità del Belpaese e la versatilità di una cucina verde che cliché noiosissimi considerano monacale e punitiva ma si rivela gustosissima e giocosa. L’esperienza s’impone. E il bel locale di via Comune Antico è illuminante. Perché per fare haute cuisine non servono la spocchia di certe insegne. Bastano conoscenza delle materie prime, rispetto della micro-stagionalità e uso virtuoso dei prodotti naturali cucinati in modo impeccabile dalle due socie e amiche che trovano la quadra di preparazioni da applausi, dopo interminabili sperimentazioni su consistenze, fermentazioni, abbinamenti. Con ortaggi e legumi di stagione e ingredienti non canonici (pigne, erbe spontanee, resine, spinaci di montagna) raccolti da encomiabili “pusher di cose buone“ in località sperdute delle Alpi.
Descrivere Altatto in un aggettivo? Un’impresa. Ma senza divagare, basta prenotare la cena in tempo; e sapere che apre solo la sera tra lunedì e venerdì, perché esiste il diritto alla vita privata: quella delle padrone di casa ma anche di ragazze e ragazzi che lavorano con loro. E allora, via con le sorprese, scegliendo fra menù da 4 e 6 portate e cercando di familiarizzare con i piatti green studiati da Sara e da Cinzia con il contributo di Caterina Perazzi. C’è il “Camino”, patata dolce cotta nell’argilla con maionese all’aglio nella cenere e crème brûlée. C’è il Green Curry stagionalità piena, con piselli, erbe e fragole. E c’è lo “Spaghetto” cotto in acqua di grana lodigiano, spuma di burro acido al prezzemolo e caviale vegetale. Senza dimenticare la “Spora” a base di Koji, senape speziata e ciliegie, dalla succulenza pazzesca. Il titolo di coda? Spetta alla “Pesca Melba” cotta alla brace, con lamponi e gelato alla vaniglia, che – spiega Sara – rende omaggio ad Auguste Escoffier, maestro delle due cuoche, assieme a Leemann e al “signor Marchesi”. Alla fine è l’esperienza a prendersi la scena, sublimata nel servizio sorridente; nella verve del sommelier Giovanni Barberis quando propone pairing alcolici e analcolici a base di infusi, tè e tisane. Ti accomodi. E ti ritrovi in una Milano da agricoltura eroica: ad assaggiare il buono della natura; e a cogliere la capacità delle donne di trasformare il lavoro in un omaggio alla vita: alla loro e a quella degli altri.