ANDREA SPINELLI
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Neri Marcorè e il Signor G: "Mi fa male il mondo". Il mio show arrabbiato e sincero

Il “cantattore“ nei panni del maestro milanese: "Tutto nasce dalla proposta della Medit Orchestra. Metto in scena il Gaber delle invettive, quello che con sferzate e ironia prendeva di mira davvero tutti".

Il Signor M torna ad omaggiare il Signor G. E lo fa nella quinta edizione di Milano per Gaber, la rassegna organizzata dalla Fondazione intitolata all’autore di “Non insegnate ai bambini” dal 10 al 14 giugno al Teatro Studio Melato e al Teatro Lirico Giorgio Gaber. Lui, M, è Neri Marcorè che il 13 giugno si presenta al pubblico del Lirico con la Medit Orchestra diretta da Angelo Valori per dare vita ad uno spettacolo concepito apposta per l’occasione: “La visione di Gaber - Canzoni dell’appartenenza tra libertà e partecipazione”.

"Al momento, infatti, abbiamo in agenda solo due date, a Milano e a Pescara" spiega il cantattore marchigiano, 58 anni. "Tutto nasce, infatti, da una proposta della Medit Orchestra; creare un repertorio gaberiano condiviso da eseguire assieme. Non so ancora se da cosa nascerà cosa, ma per ora è tutto qui. Anche perché da ottobre riprenderò il tour di ‘Sherlock Holmes - Il Musical’ e con il regista Giorgio Gallione allestiremo un nuovo spettacolo intitolato ‘Gaber. Mi fa male il mondo’ con cui girerò l’Italia per tre mesi nella stagione ’25-’26 e altri tre in quella ’26-‘27".

Il legame tra lei e Giorgio Gaber è iniziato nei secondi anni Duemila con “Un certo Signor G”.

"Già. Fino a quel momento, infatti, mi ero limitato solo ad inserire qualche sua canzone nei miei spettacoli. Rispetto ad ‘Un certo Signor G’, ‘Gaber. Mi fa male il mondo’ sarà un lavoro un po’ più ‘arrabbiato’, con il Gaber delle invettive, quello che con la sua ironia e le sue sferzate prende di mira tutte le generazioni dell’epoca. Una stagione non tanto lontana dalla nostra visto che frattanto, se possibile, le cose sono addirittura peggiorate. Mi riferisco alla mancanza di senso civico, all’evanescenza del pensiero, al disimpegno e alla ricerca di quell che vuol essere ‘leggero’ nel senso più deteriore del termine. Uno spettacolo, insomma, capace di suscitare delle reazioni favorevoli o contrastanti".

Nello spettacolo autunnale ci saranno pure dei monologhi?

"Alcuni ne farò pure al Lirico, ma, essendoci l’orchestra, per non toglierle spazio punterò di più sulle canzoni. Pure la selezione sarà diversa, visto che lo spettacolo autunnale punterà su un repertorio in bilico tra ‘Qualcuno era comunista’, ‘Io se fossi Dio’, e pezzi ironici come ‘L’odore’, evitando canzoni del Gaber anteriore al teatro canzone come ‘Torpedo blu’, ‘La Balilla’ o ‘Com’è bella la città’ che facevo in ‘Un certo Signor G’".

Viene da “Come una specie di sorriso” e “La buona novella”, viaggi musicali attraverso i brani di Fabrizio De André, affinità e divergenze tra due animi nobili della canzone d’autore italiana?

"Si mettevano entrambi in discussione, entrambi non avevano la pretesa di giudicare gli altri se non giudicando prima sé stessi. Erano degli ottimi osservatori, aiutati da ottimi collaboratori; per Gaber cito Sandro Luporini, mentre per De André Massimo Bubola, Mauro Pagani e diversi altri. Entrambi guardavano la realtà che avevano attorno con senso critico, ma mai giudicante. Entrambi hanno testi che impongono all’ascoltatore, o allo spettatore, di porsi delle domande e cercare, possibilmente, delle risposte".

E le differenze?

"Tanto De André era schivo e lontano dall’idea di palco, abbracciata solo dopo aver scritto numerose canzoni, tanto Gaber sentiva il bisogno del contatto, del confronto continuo e diretto col pubblico. Nella vita erano ironici tutti e due, anche se Gaber nei suoi spettacoli e nei suoi dischi usava quest’arma più di De André".

Che Milano affiora dalle canzoni di Gaber?

"Monologhi e canzoni lasciano intendere una vivacità culturale della città enorme. L’amicizia di Gaber con Jannacci, con Celentano, con Cochi e Renato sottolinea una creatività straordinaria. Sperimentazione, genialità, voglia di cercare nuove strade sia nel campo della musica leggera e di quella comicità che al Derby, allo Zelig e in altri locali finivano spesso col mescolarsi individuando nuove strade. Insomma, la Milano di allora era una città in cui sicuramente non ci si annoiava, con la propensione ad un continuo slancio in avanti via via persa lasciando spazio alla disillusione che conclude il monologo di ‘Qualcuno era comunista’".