Stagione teatrale alla Scala: da Il Nome della Rosa a Così fan tutte

Una stagione ricca di prime assolute e grandi ritorni, con opere di Eco, Gassmann, Weill e Mozart alla Scala.

Il regista Mario Martone

Il regista Mario Martone

Nel suo complesso, una stagione ben articolata. Tra le serate più stimolanti, una prima assoluta: un’opera tratta dal romanzo di Eco Il Nome della Rosa, libretto (che impresa!!) di Pierre Senges e Stefano Busellato; musicato da Francesco Filidei che giunge al suo terzo appuntamento col teatro musicale; diretto da Ingo Metzmacher che della musica contemporanea è alfiere; e messa in scena da un team tra i massimi di oggi, Damiano Michieletto regista e Paolo Fantin scenografo.

All’opposto del nostro contemporaneo, l’epoca barocca; novità assoluta per la Scala, un titolo di autore oggi poco frequentato ma nel ’700 assai famoso e prolifico, Florian Leopold Gassmann, “L’opera seria“. Solo a leggere alcuni nomi dei protagonisti (Fallito, Stonatrilla, Sospiro, Befana, Smorfiosa, Delirio) s’intuisce essere una satira del convulso mondo melodrammatico, che troverà interpreti ideali in Laurent Pelly regista e in Christophe Rousset, che dei direttori specializzati nel repertorio barocco è tra i maggiori protagonisti (indimenticabile la sua Calisto di tre anni fa).

Procede la Tetralogia “a quattro mani” (Simone Young e Alexander Soddy) con Walküre e Siegfried. Attesissima da 47 anni la Norma, proposta in nuovo allestimento con Fabio Luisi sul podio e Olivier Py regista (splendida la sua Thaïs di due anni fa), protagonista Marina Rebeka. Ancora uno spettacolo di Laurent Pelly, creato diversi anni fa a Londra e divenuto celeberrimo, la donizettiana Fille du Régiment diretta da Evelino Pidò.

La seconda opera di cui si fa carico Riccardo Chailly s’annuncia come serata tra le più originali: un trittico di Kurt Weill su testi di Brecht (I 7 peccati capitali; Mahagonny Songspiel; Happy End), messo in scena da Irina Brook.

Mario Martone regista e Timur Zangiev (quel direttore che nella Dama di picche prese il posto del troppo compromesso Gergiev all’indomani dell’invasione russa in Ucraina) propongono il capolavoro di Ćajkovskij Evgenij Onegin, sperando che la sempre stata ciangottante Aida Garifullina non svilisca troppo la figura di Tatiana.

Ultimo nuovo allestimento, quello che personalmente attendo con più entusiasmo perché ritengo essere l’opera più difficile e complessa - ma anche la più affascinante - di Mozart: “Così fan tutte“, del cui portentoso groviglio di ambiguità sentimentali e cinismo, Robert Carsen si farà carico di conserva alla direzione del talentuosissimo Alexander Soddy.

Fondamentali per la vita d’un grande teatro sono le riprese, scelte bene eccezion fatta per Falstaff, in cui sarà bellissimo sentire la direzione di Daniele Gatti ma sa il cielo perché si sia preferito il vetusto spettacolo di Strehler (che di Strehler nulla ha più avuto già dalla sua prima riproposta) anziché quello di Michieletto, genialmente ambientato nella milanese Casa di Riposo e che, tra i moltissimi che ho visto, m’è parso di gran lunga il più riuscito: meglio Tosca nel bell’allestimento di Davide Livermore, e Rigoletto in quello altrettanto memorabile di Mario Martone.

Cast quasi tutti da grande teatro internazionale: dopo la super-locandina della Forza, ci sarà un bel mix di giovani (Mattia Olivieri, Chiara Isotton, Julie Fuchs, Luca Micheletti) e grandi nomi: Luca Salsi e Francesco Meli in Tosca; Amartuvshin Enkbat nei panni di Rigoletto; Juan Diego Florez a replicare l’exploit dell’aria “dei nove Do” della Fille; Ambrogio Maestri eterno Falstaff.

Elisa Guzzo Vaccarino