Fondazione Ica. Né museo, né spazio. Ma contenitore di idee in divenire

Lo racconta il presidente Lorenzo Sassoli de Bianchi: "Vogliamo innescare una riflessione sulla contemporaneità".

Fondazione Ica. Né museo, né spazio. Ma contenitore  di idee in divenire

Fondazione Ica. Né museo, né spazio. Ma contenitore di idee in divenire

"Non è un museo, né uno spazio espositivo, ma un contenitore di idee, un progetto molto in divenire come il quartiere dove abbiamo scelto di stare".

Ecco cosa c’è dietro "Ica", quella sottile scritta con la bomboletta spray più piccola dei cartelli stradali che ne indicano la sede, una ex fabbrica abbandonata, di struttura razionalista. Il senso di questo interessante progetto d’arte lo spiega bene il presidente della Fondazione, Lorenzo Sassoli de Bianchi che, nella vita, è anche fondatore e presidente dell’azienda Valsoia.

"Lo spazio d’arte è rivolto al pubblico, totalmente no profit, con l’obiettivo di innescare una riflessione sulla contemporaneità, non solo sulle arti visive. In futuro avremo anche poesia, filosofia (con un scuola) e il cinema". L’ispirazione trae linfa dalla cultura del "give back", modello londinese che teorizza il "restituire per condividere" e l’Ica milanese nasce da un gruppo di quattro persone, oltre a Sassoli de Bianchi, mosse da passioni comuni per l’arte, la cultura e la filantropia, da un forte senso civico e dalla volontà di creare qualcosa per la comunità.

"La scelta – spiega Sassoli de Bianchi – è caduta su una città come Milano, luogo ideale per la sua anima intraprendente e imprenditoriale, solidale e soprattutto una città che ha un grande fermento intellettuale".

La cultura e l’arte sono centrali nel disegno della città futura, Milano è una metropoli aperta e internazionale e il quartiere è un luogo in divenire, come lo è Ica. "Siamo nati nel 2019 – prosegue – ci piaceva l’idea di essere all’interno di un cortile per condividere con altri lo spazio di lavoro, uno spirito operativo che accoglie contenuti senza lustrini. Abbiamo scelto una ambientazione scarna e disadorna per dare più forza alle opere. Io mi sono occupato di musei pubblici tutta la vita e guardavo a Milano per qualcosa di dinamico, ma svincolato dal pubblico".

"Mi piaceva sperimentare una certa "indipendenza", aggiunge.

In via Orobie c’era un deposito di bombole di gas abbandonato, poco distante dalla già compiuta Fondazione Prada. "Abbiamo lasciato la struttura così come era – racconta ancora – pensando solo a piccoli interventi non percepiti, l’abbiamo lasciata più intatta possibile, perché non avesse la rigidità del museo.

D’altra parte di “white cube“ è pieno il mondo. E poi noi non facciamo commercio, il che ci dà massima libertà su tutto".

La vicinanza dell’altra grande istituzione culturale, la Fondazione Prada, ha gettato le basi per un distretto dell’arte contemporanea che sta crescendo continuamente, alimentata da contenuti culturali. "Abbiamo in programma anche una scuola di filosofia, una esposizione che dedichiamo all’editoria d’arte, poi abbiamo i progetto il cinema, perché deve diventare un contenitore di cultura che stimola la riflessione".

Anche il linguaggio che utilizza Ica è mutevole, invita a notare il presidente, non c’è un unico logo, negli inviti viene utilizzato in diversa altra maniera, perché anche il logo sposi l’idea di un progetto costantemente in fieri. Nel quartiere ora c’è una energia eccezionale data innanzitutto da Prada e poi da tutto quello che sta nascendo. "Assistiamo – conclude Sassoli de Bianchi – ad una “rinascita“ della zona perché questo sviluppo comprende attività culturali, attività di servizi e di intrattenimento. Non è un quartiere di soli uffici, si sta sviluppando nella direzione giusta, stanno nascendo realtà che privilegiano il contenuto".

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