
Moira Giacomelli
Villa di Tirano (Sondrio), 12 aprile 2016 - «L’ho incontrata per caso. Io stavo uscendo dall’appartamento, dove ancora vive mia moglie Bruna, e dove mi ero recato per fare alcuni lavoretti, e lei scendeva dalle scale dell’alloggio situato al piano di sopra, dove abitava con mio figlio Simone che poi è morto, stroncato da un infarto. Siamo entrati nella casa di mia moglie per parlare e, a un certo punto, la discussione si è accesa, è degenerata, le ho chiesto perchè i bimbi non frenquentassero più la scuola da qualche tempo e ho ricevuto risposte strafottenti. E dentro la cucina dove ci trovavamo ho afferrato un coltello e ho iniziato a colpirla. Mi chiede quante volte? Non lo so, non sono in grado di dirlo...». L’interrogatorio di convalida dell’arresto, davanti al gip Carlo Camnasio, al sostituto procuratore Giacomo Puricelli, al suo avvocato Giordana Caelli e allo stenografo del Tribunale Mario Bombardieri, è iniziato attorno alle 9.30 e un’ora e mezza dopo era già terminato. Compreso un’interruzione di una decina di minuti, perchè il fermato non ce la faceva ad andare avanti. In giacca a vento grigia, canottiera bianca sotto, con fare dimesso, barba incolta, il 70enne Enrico Ferrari che, nella serata di venerdì, ha ucciso con un numero ancora imprecisato di coltellate la nuora 43enne Moira Giacomelli a Villa di Tirano, ha risposto alle domande del giudice. Ma non a tutte, tuttavia non per cattiva volontà, ma perchè «probabilmente non ce la faceva, provato da quanto accaduto, resosi conto col trascorrere delle ore di quanto di grave aveva commesso». «È apparso molto affaticato, sembrava non stesse proprio del tutto bene - ha commentato alla fine dell’udienza di convalida il gip Camnasio che con un’ordinanza di 6 pagine ha disposto che resti rinchiuso in cella, guardato a vista dagli agenti di Polizia Penitenziaria -. Al momento resta in cella anche per il rischio di inquinamento probatorio. I carabinieri devono completare l’attività investigativa». Cè, ad esempio,, da chiarire i restanti dubbi sulle modalità del fatto di sangue, sui tempi dell’azione delittuosa, ancora non si può escludere che si sia trattato di un delitto d’impeto commesso in un raptus di follia. «Si deve fare piena luce - si è limitato a dire il dottor Camnasio - anche sulle supposte telefonate che ci sarebbero state fra vittima e suocero. Fra i due i rapporti non sarebbero stati così tesi, come invece risulterebbero esserlo stati fra la donna - andata via di casa nel periodo pasquale - e la suocera. Dopo l’omicidio, che dice di avere commesso attorno alle 20.30, si è presentato nella caserma carabinieri di Tirano alle 21, tutto imbrattato di sangue, forse accompagnato in auto da una vicina di casa alla quale ha anticipato la confessione, motivando l’uccisione con il fatto che la nuora gli negasse la possibilità di vedere i nipotini. O, comunque, di vederli con maggiore frequenza. Lui e la moglie desideravano vederli con più assiduità, ma il loro desiderio di nonni era sempre respinto».