
I profughi nigeriani in chiesa con il sacerdote di origine tanzaniana e alcuni cittadini di Bastida Pancarana
Pavia, 5 settembre 2016 - L'Africa? Qui è di casa, anzi di chiesa. Siamo a Bastida Pancarana, Comune a cavallo del fiume Po, a circa quindici chilometri da Pavia. Il parroco è un tanzaniano, don Simon Masandole e due sacerdoti, pure essi tanzaniani, don Camillo e don Niccodemo, hanno trascorso qui le vacanze del corso di liturgia che stanno seguendo a Roma. E poi nel coro ci sono Andrew, Ifasa, Ken, Kingstey e Osaro, per citare alcuni del gruppo di nigeriani destinato ad aumentare nelle prossime settimane, ormai parte integrante delle strutture parrocchiali. Un vero esempio di integrazione riuscita e destinata a proseguire perché questi profughi, tutti cattolicissimi e ospiti di un motel nel vicino Comune di Castelletto di Branduzzo dove ci sono altri richiedenti asilo di diverse nazionalità, africani ma anche pakistani, vorrebbero rimanere in Italia, dove sono stati accolti senza troppi problemi e anzi con un crescendo di simpatia e solidarietà.
Ogni domenica Roberto, l’organista della chiesa dedicata a San Bartolomeo, li accompagna in auto al loro centro dopo che, percorrendo a piedi circa 5 chilometri, sono arrivati, sempre puntuali, per la funzione religiosa delle 10. Oppure Mauro, vicecomandante dei vigili a Motta Visconti, sempre ogni domenica traduce in inglese le letture affinché gli amici nigeriani possano seguire canti e messa. Oppure ancora Luisella e Cinzia ricordano come, nella domenica di Pentecoste, il parroco, improvvisamente, si è messo a celebrare in inglese perché in fondo alla chiesa c’era un nutrito gruppo di nigeriani. Un’integrazione approvata e sostenuta anche dal vescovo di Tortona, Vittorio Viola. Dai profughi coristi, venuti dalla Nigeria, sbarcati a Lampedusa dopo un lungo viaggio attraverso il deserto durato da uno a quattro mesi, tante storie di paura e di pericoli come Osaro che ricorda ancora con il terrore negli occhi ma anche di speranze come quella di Ken al quale piacerebbe fare il parrucchiere, come faceva in Nigeria.
Ifasa ha solo 18 anni e dice, senza remore: «Mi piace questa terra e questa gente, voglio restare qui e fare qualsiasi lavoro». Alcuni giocano anche bene a calcio e da queste parti con una squadra che milita in Prima Categoria e sfida le formazioni di Comuni ben più grandi, è un’opportunità in più per essere pienamente accettato dalla comunità locale. Alcuni di loro, in pochi mesi, hanno già imparato qualche parola in italiano, ma tutti vogliono studiare ancora: «Così saremo più utili a chi ci sta aiutando», fa sapere Andrew. In Nigeria lavorava come elettricista, poi la crisi e il crollo dei prezzi del petrolio hanno spazzato via anche la precaria possibilità di sopravvivere. Lui, come gli altri, ha lasciato tutto, la famiglia e gli affetti per rifarsi una vita qui, a Bastida, Oltrepo Pavese, 1.644 abitanti, una volta solo agricoltori e oggi anche impiegati. Tutta brava gente.