Fotoreporter pavese ucciso in Ucraina: intrigo internazionale

Nel processo d’appello per la morte di Andrea Rocchelli emergono intimidazioni e minacce. Disposta altra perizia. Irrituale mail del ministero di Giustizia ucraino

 Andrea Rocchelli ucciso a 30 anni  il 24 maggio 2014

Andrea Rocchelli ucciso a 30 anni il 24 maggio 2014

Milano, 2 ottobre  2020 - Un ministro del governo ucraino che si presenta in aula per sostenere l’innocenza dell’imputato. Un’ interprete che nel dibattimento di primo grado lasciò l’incarico perché - emerge solo ora - aveva ricevuto un’intimidazione telefonica da un anonimo. E la Corte d’assise d’appello che ieri ha disposto una perizia su un’intercettazione ambientale in carcere nella quale Vitaly Markiv, 30enne sergente della Guardia Nazionale ucraina condannato in primo grado a 24 anni per l’omicidio del fotogiornalista pavese Andrea Rocchelli avvenuta sei anni fa, si vanterebbe di aver «fottuto un reporter».

Non è un processo come altri questo per la morte del giovane Rocchelli, ucciso a 30 anni da colpi di mortaio il 24 maggio 2014 mentre realizzava un reportage nel Donbass, zona dell’Ucraina occupata dai separatisti filorussi. «Ci sono prove e fatti che dicono che Markiv è innocente» ha assicurato il ministro dell’Interno ucraino Arsen Avakov, arrivato in tribunale con il suo vice Anton Gerashchenko. «Di questo caso giudiziario – ha aggiunto il nostro presidente ha parlato con il presidente Giuseppe Conte e abbiamo avuto dei contatti coi ministri italiani». Le minacce telefoniche, invece, le ha riferite a verbale due giorni fa una testimone, sentita fuori udienza dalla Corte, che ha parlato di una telefonata intimidatoria ricevuta dai familiari dell’interprete che poi lasciò l’incarico dopo l’udienza dell’8 febbraio 2019, quando erano stati ascoltati due senatori ucraini. I giudici hanno trasmesso gli atti alla Procura perché valuti l’apertura di un’indagine. 

La Corte d’assise d’appello, presieduta da Giovanna Ichino, ha poi deciso, come richiesto dal sostituto pg Nunzia Ciaravolo, di acquisire nelle prove anche il brogliaccio trascritto dalla polizia giudiziaria (ma non dal perito) con una frase nota ma finora non nel fascicolo, pronunciata dall’imputato (che però nega) in un colloquio intercettato in cella il primo luglio 2017: «Nel 2014 abbiamo fottuto un reporter ma lui era...».

È stata però accolta anche la richiesta delle difese (come responsabile civile c’è proprio lo Stato ucraino) di far trascrivere ad un perito interprete tutta la registrazione del colloquio di Markiv in carcere, che entra nel processo come «integrazione» e sarà anche ascoltata in aula. Nel frattempo, la Corte ha dato atto di aver ricevuto «in modo un po’ irrituale» una email dal ministero della Giustizia ucraino nella quale, per questioni di giurisdizione, si fa notare che Markiv è cittadino ucraino. Quella sull’impossibilità della giustizia italiana di processare un ucraino, in effetti, è una delle questioni preliminari sollevate dalle difese. Markiv, però, ha anche la cittadinanza italiana.