
Il tribunale di Pavia
Pavia, 8 novembre 2016 - Si avvia alla conclusione il processo per il buco da quasi due milioni nei conti di Asm. Ieri il pubblico ministero Paolo Mazza ha chiesto durante la sua requisitoria condanne per il reato di peculato a otto anni e quattro mesi per Pietro Antoniazzi, ex contabile di Asm Pavia, a cinque anni e quattro mesi per Luca Filippi, ex presidente di Asm Lavori, e a quattro anni cinque mesi e dieci giorni per Claudio Tedesi, ex direttore generale di Asm Pavia. I tre ex manager sono a giudizio con rito abbreviato, che consente di ottenere lo sconto di pena di un terzo in caso di esito sfavorevole. Riduzione già applicata nelle richieste di condanna formulate dall’accusa. È stata contestata dal Pm Mazza anche l’aggravante della continuazione del reato. Ieri in udienza si sono espresse anche le parti civili.
I legali di Asm Pavia e Asm Lavori hanno stimato risarcimenti di 1 milione e 800mila euro per il danno patrimoniale, stessa cifra è stata chiesta per il danno morale, ma solo ad Antoniazzi e Filippi, perché nei confronti di Tedesi la richiesta era già stata precedentemente revocata. Invece, il Comune di Pavia ha chiesto risarcimenti da 100mila euro a testa, per un totale quindi di 300mila euro, con provvisionali da 20mila euro. Il Gup ha poi rinviato l’udienza al 23 novembre per le arringhe dei legali delle difese ed eventuali repliche dell’accusa e delle parti civili. Successivamente, con probabilità in un’ulteriore udienza, arriverà la decisione finale. Per lo stesso capo d’accusa è in corso anche il processo a carico di Giampaolo Chirichelli, ex presidente di Asm, attualmente a giudizio con rito ordinario in tribunale a Pavia, il dibattimento si sta svolgendo in questi mesi.
Lo scandalo che ha portato all’imputazione degli ex manager dell’azienda pavese risale all’ottobre 2015, quando era stato arrestato Antoniazzi dalla Guardia di finanza. L’accusa è quella di aver distratto compensi dalle casse di Asm a conti differenti da quello del Comune di Pavia, che sarebbe dovuto essere il vero destinatario di note di credito ma che secondo gli inquirenti era solo fittizio: il denaro era finito su un conto corrente in una filiale in provincia di Piacenza riconducibile ad Antoniazzi e a una sua società di consulenza.