
L'incidente ferroviario di Arcore. Nel tondo, Adelio Squinobal
Arcore (Monza Brianza), 10 maggio 2020 - Piove tanto quel venerdì 11 settembre del 1970, quasi cinquant’anni fa. Un autentico nubifragio si sta abbattendo da ore sulla Brianza. Tanto violento da provocare più volte l’interruzione dell’energia elettrica. Alla stazione ferroviaria di Arcore sono in apprensione, per questo. La disalimentazione degli apparati elettrici è un guaio, un grosso guaio per i treni in arrivo e in partenza. Tanto che l’unica soluzione, con l’automatica disposizione al rosso del segnale di protezione della stazione, è quella di azionare il “segnale di chiamata”, il cosiddetto segnale “Az”: si tratta di due luci bianche lattee lampeggianti. Un segnale che impone al macchinista del treno in arrivo di procedere con cautela, e a bassa velocità, lungo il percorso e infine di fermarsi – in ogni caso – una volta giunto in stazione.
Alle 17.42, quando arriva il treno diretto n. 807 da Sondrio verso Milano, qualcosa non va però come dovrebbe andare. Innanzitutto il macchinista, pur rallentando la marcia – anche perché la fermata è ormai prossima – procede comunque a cinquanta chilometri orari. Troppi. Il diretto in arrivo da Sondrio è in ritardo di mezz’ora e forse è questa la ragione che non impone la dovuta cautela. E poi – e questo è l’errore più grave – prima di azionare il segnale di chiamata forse qualcuno dimentica di accertarsi dell’effettiva disposizione dei deviatoi di ingresso, vale a dire gli scambi. Accade così che il diretto n. 807, composto da tre elettromotrici, due rimorchiate e un bagagliaio, imbocca il binario sbagliato, quello su cui si trova in sosta un altro convoglio: un treno merci. L’impatto è tanto inevitabile quanto devastante. L’elettromotrice di testa penetra sfondandolo nell’ultimo carro di coda del treno merci. Sul treno diretto in arrivo da Sondrio viaggiavano circa 200 passeggeri, in maggior parte pendolari.
Ne restano feriti in 74. La seconda carrozza si piega letteralmente a metà. I passeggeri rimangono incastrati fra le lamiere. Per liberarli ci vuole oltre un’ora di lavoro con la fiamma ossidrica sotto un nubifragio che continua a spegnerla. Per due passeggeri non c’è però nulla da fare. Uno è un ragazzo ipovedente di 18 anni, di Bormio: si chiama Adelio Squinobal (nella foto) e, avviato alla carriera di musicista, stava venendo a Milano, dove frequentava i corsi del Conservatorio. Quando finalmente i pompieri riescono a estrarlo dalla lamiere, è già cadavere. L’altro è l’aiuto macchinista Pasquale Carella, 26 anni, originario di Bari. Per estrarlo dalle lamiere, i pompieri ci impiegano più di tre ore. Sotto le telecamere delle televisioni nel frattempo accorse sul luogo della tragedia. Pasquale Carella riesce a mantenere a lungo la lucidità necessaria per rispondere ai soccorritori, e conferma la dinamica degli eventi come più o meno emergerà successivamente dall’inchiesta. Inutili gli incoraggiamenti disperati dei soccoritori a tenere duro, interrotti dalle sue lancinanti grida di dolore.
Quando finalmente si riesce ad aprire un varco per arrivare sino a lui gli viene fatta una trasfusione di emergenza data la grande quantità di sangue che ha già perso e viene portato all’ospedale San Gerardo di Monza. Ma gli resta ormai poco da vivere. Nel corso dell’intervento chirurgico al quale viene sottoposto, subentra infatti un’ischemia fatale al cervello. La sua morte viene dichiarata intorno a mezzanotte e mezza. "Giunti a circa 1300 metri dalla stazione di Arcore - racconterà nelle ore successive uno dei conduttori - abbiamo trovato il disco chiuso. Pioveva molto forte. A un certo punto siamo ripartiti col segnale di chiamata. Il treno è avanzato molto lentamente, perché di lì a 1300 metri si sarebbe dovuto fermare. Procedevamo con gran precauzione: nemmeno cinquanta chilometri all’ora. In queste circostanze solitamente i macchinisti guidano fidandosi della propria vista, mancando la corrente".
Non si accorgono però della presenza sul secondo binario di un treno merci in sosta. "L’urto è stato violentissimo - è ancora il racconto del conduttore - molti sono caduti sul pavimento, io e il capotreno abbiamo urtato la testa nella parete della vettura". I feriti come si diceva saranno 74. Il più grave è un ragazzino di 15 anni che viaggiava assieme alle due vittime sulla seconda vettura, ma che fortunatamente se la cava con la frattura del bacino. Negli ospedali di Monza e Vimercate vengono ricoverati 52 feriti. Tredici vengono dimessi dubito dopo le medicazioni, gli altri avranno prognosi più lunghe.
Anche a distanza di tanto tempo da quei tragici dventi, Marisa Squinobal, interpellata qualche settimana fa, scoppia in lacrime a ricordare quel tragico giorno. "Adelio era mio fratello, aveva solo 18 anni. Stava seguendo i corsi al Conservatorio di Milano, suonava il pianoforte. Era molto bravo". Era ipovedente, e la musica gli consentiva di esprimersi, "aveva vinto anche un premio, ce lo abbiamo ancora, una medaglia. Quel giorno dopo le vacanze stava riaccompagnando un suo compagno di scuola. Adelio aveva un fortissimo strabismo ma non era completamente cieco, anche se frequentava l’istituto per i ciechi per imparare. Indossava degli occhiali speciali con la montatura nera che lo proteggevano dalla luce del sole. il suo amico invece vedeva solo ombre. Si fermarono in Valtellina a mangiare la polenta e poi proseguirono il viaggio. Pioveva forte ed è successo quello che è successo".
La voce di Marisa è rotta dai singhiozzi. "È stata dura, eravamo sette fratelli e lui era il primo maschio dopo tre femmine. Ci chiamarono a darci la notizia e ci toccò andare all’ospedale di Vimercate per il riconoscimento". Dopo di allora, tutto venne dimenticato. "Ci offrirono un minimo risarcimento, lo accettammo per chiudere questa storia, tanto Adelio non sarebbe tornato più. Per tanto tempo alla basilica della Madonna di Tirano so che rimase appeso un quadretto che riproduceva un treno deragliato: era l’ex voto per la grazia ricevuta, lo mise uno dei macchinisti di quel treno".