CRISTINA BERTOLINI
Cronaca

"Mi chiamo Michael, sono come te". Il percorso di educazione tra pari

In prima linea per accogliere e aiutare i nuovi arrivati: ci sosteniamo a vicenda

Il medico Alessandra Arosio, con Tirone, Michael e Andrea, detenuti “Peer educator“

Il medico Alessandra Arosio, con Tirone, Michael e Andrea, detenuti “Peer educator“

"Ciao, sono Michael e sono un detenuto come te". Così, senza maschere, si presenta Michael, detenuto del carcere di Sanquirico, a cui la dottoressa Alessandra Arosio, giurista ed educatrice penitenziaria ha proposto di lavorare come “Peer educator“ (secondo il progetto educativo promosso dal carcere di Monza, insieme alle imprese sociali Galdus e Energheia). È l’educatore tra pari, un vero lavoro, non retribuito, a cui Michael e Andrea hanno detto di sì. L’accoglienza dei detenuti nuovi arrivati, il loro inserimento in un percorso di rieducazione proposto dagli operatori del carcere incontra spesso diffidenza e ostilità, spiega Alessandra Arosio. Le stesse proposte, offerte dai pari, cioè da persone che sanno cosa significa la paura, l’incertezza e la noia della detenzione, suonano più credibili e rassicuranti.

Michael e Andrea hanno avuto una formazione di base, poi hanno seguito un modulo formativo per la cura del verde, imparando a prendersi cura di qualcosa di diverso da sé, anche un fiore o una pianta bastano. Ecco il sostegno tra pari, per intercettare i reali bisogni dei compagni. I tutor tra pari svolgono tre azioni principali: l’accoglienza, il supporto dei già detenuti e l’affiancamento delle fragilità nel lavoro. "Senza un’attività non c’è sicurezza - chiarisce la giurista - perché le persone, con i loro pensieri, intenzioni e fragilità sono difficili da inquadrare da una persona sola. Ci si avvicina più facilmente in équipe, con un progetto condiviso. Siamo 8 educatori". "Il sostegno tra pari nasce come dialogo tra compagni - spiega Michael - Io ho scelto di farlo, perché ho sempre avuto contatti con le persone. Ho lavorato come Pr e organizzatore di eventi. Noi siamo volontari, parliamo e tranquillizziamo i nuovi arrivati, spiegando che le procedure vanno svolte, ma che gli operatori delle istituzioni non sono “cattivi“, ma propongono un percorso per poter recuperare". I pari aiutano a riempire i moduli per l’assistenza legale, i contatti con i famigliari e con l’avvocato e insegnano il valore della pazienza: in un momento di angoscia non è facile accettare l’idea che per fare una telefonata occorrano 15 giorni. "Io ho accettato di fare il “peer supporter“ - racconta Andrea - perché ho capito che a me fa bene e quindi sono stato contento di aiutare gli altri e me stesso. Un confidente che ti mette a tuo agio".

C.B.