
Il disastro ambientale del Lambro nel 2010
Quella notte, il custode dormiva. Aveva fatto il solito giro, armato di torcia e telefonino, ma non aveva visto nulla di strano. Perché lì, a parte le spettrali cisterne di una raffineria di petrolio chiusa da anni, non c’era nulla di cui preoccuparsi. E invece, qualcuno era entrato. Aveva scavalcato le mura, si era calato nell’immensa area (un undicesimo della superficie di tutta Villasanta, paesino da 14mila anime alle porte del Parco di Monza) e si era diretto alle cisterne dove ancora venivano custoditi gli ultimi prodotti petroliferi in conto terzi in vista della ormai imminente dismissione. Al suo posto, sarebbe dovuta sorgere una cittadella-gioiello (Ecocity) con case, negozi e aree verdi.
Il disastro
Con la perizia di chi sapeva come muoversi, lo sconosciuto aveva aperto una per una sette cisterne della vecchia raffineria. E il loro contenuto aveva cominciato a zampillare. Erano le 3 e mezza del mattino quando cominciò così il più grande disastro ambientale che la storia d’Italia ricordi dai tempi della nube di diossina all’Icmesa di Meda e Seveso, nel 1976. Sono trascorsi più di 13 anni da quella notte fra il 22 e il 23 febbraio del 2010 in quella che era stata la prima raffineria italiana, fondata nel 1939 dai Tagliabue. Una famiglia che si era sempre occupata di riscaldamento, fornendo fra gli altri i Savoia con legna e carbone per la Villa Reale. Negli anni d’oro, l’azienda era arrivata a occupare oltre 250 dipendenti su di un’area di 360mila metri quadrati. Grazie a un accordo col colosso francese Total, riempiva i distributori di benzina del Nord Italia e alimentava le caldaie delle abitazioni di mezza Lombardia. Tempi ormai finiti da un pezzo, due discendenti della famiglia Tagliabue, i cugini Giuseppe e Rinaldo, erano rimasti a occuparsi solo del deposito. Quella notte dalle cisterne escono 1.600 tonnellate di gasolio e 800 di olio combustibile. Alle 5 del mattino, il primo ad accorgersene è un addetto al depuratore di Monza-San Rocco che, insospettito dal malfunzionamento dei macchinari, scopre l’onda nera. Un’enorme massa di idrocarburi ha invaso le fogne ed è finita nel fiume Lambro. Scattano l’allarme (e il panico). Vigili del fuoco, protezione civile, Arpa e Forestale vanno subito a installare lungo tutto il corso del fiume delle dighe galleggianti per fermare l’onda.
Intanto al centro del Wwf a Vanzago cominciano a essere portati gli animali contaminati dalla massa oleosa, uccelli selvatici soprattutto. Centinaia vengono estratti dal Lambro già morti o in gravi condizioni. Per ore, si tenta di arginare l’onda nera. Mentre gli occhi di mezzo mondo sono ormai puntati sul disastro, la marea raggiunge il Po e alla fine, anche se ormai per fortuna solo in minima parte, pure il mare Adriatico.
L’inchiesta
La Procura di Monza apre un fascicolo contro ignoti per disastro ambientale e inquinamento delle acque. I carabinieri mettono sotto sequestro l’area. L’indagine inizia dall’interrogatorio dei dipendenti della Lombarda Petroli, inclusi quelli licenziati. Tante le piste che vengono battute, da quella degli appalti fino alla ‘ndrangheta. Si mobilita anche un Kennedy. L’associazione Waterkeeper Alliance di Robert F. Kennedy Jr, nipote dell’ex presidente, oggi aspirante candidato alle presidenziali, propone di far diventare il Lambro un simbolo della tutela ambientale in Italia. Al processo, dove si costituiscono parti civili decine di enti, le cose un po’ si ridimensionano. Sei imputati, in testa i cugini Tagliabue, accusati di disastro colposo. Commerciando ancora idrocarburi, avrebbero avuto una contabilità parallela e avrebbero orchestrato tutto per sbarazzarsi delle quantità in eccedenza per evitare di pagare il Fisco.
Le condanne
Alla fine, vengono condannati con sentenza definitiva per disastro colposo il titolare della Lombarda Petroli, Giuseppe Tagliabue, e il custode. Anche se la Corte di Cassazione tributaria annulla però l’accertamento dell’Agenzia delle Dogane che chiedeva alla Lombarda Petroli (poi dichiarata fallita) di versare 9 milioni di euro per il mancato pagamento delle accise. Nessuna contabilità occulta, insomma: per la giustizia tributaria, la Lombarda Petroli non aveva commesso traffici illeciti. Per quella penale, sì.