Da Monza alla Gallura inseguendo Bacco: Giovanni Cappato, l’architetto diventato vignaiolo

Da professionista con studio a Milano a titolare di un’azienda vinicola tirata su a colpi di zappa: “Ho mollato tutto e fatto debiti, all’inizio non avevo nemmeno il trattore”

Giovanni Cappato in vigna

Giovanni Cappato in vigna

Monza – Mollo tutto e apro un chiringuito al mare. Tanti lo dicono, pochissimi lo fanno. Giovanni Cappato non aveva in testa un bar sulla spiaggia, ma un’azienda vitivinicola in Sardegna sì, e così ha mollato tutto e l’ha messa in piedi. A 40 anni suonati, dopo essersi iscritto nuovamente all’università, facoltà di Agraria corso di laurea in Viticoltura ed Enologia, archiviando la precedente vita di architetto.

Brianzolo doc, nipote di quel Guglielmo Agnelli proprietario della Cascinazza che è stata una delle ultime grandi aziende agricole di Monza, ha riscoperto quella campagna che, dice lui, "mi è sempre rimasta sottotraccia". Via dalla Brianza e da Milano, dove esercitava col suo studio di architettura, per mettere radici a Berchidda, nella Gallura interna ai piedi del monte Limbara, in quel nord della Sardegna tanto amato negli anni di gioventù, quando faceva l’istruttore di vela a Caprera.

Un cambiamento radicale ma tutt’altro che impulsivo. Una "lucida follia", come la definisce, studiata e costruita negli anni. "La crisi economica del 2008 – racconta – ha avuto forti ripercussioni sull’architettura, un settore su cui già cominciavo a nutrire dubbi per alcune vicende lavorative. Così ho ascoltato la mia vena agricola, frutto anche dei ricordi delle giornate alla cascina di mio nonno, e nel 2011, a 38 anni, mi sono iscritto ad Agraria all’Università Statale. Volevo portare le mie aspirazioni personali in campo, letteralmente, in un lavoro legato ai cicli stagionali".

La scelta della vite è stata anch’essa frutto di un ragionamento razionale. "Non avevo grossi capitali – spiega Cappato – ho liquidato lo studio sistemando tutti i collaboratori, venduto casa e fatto debiti. Per fare agricoltura servono centinata di ettari, il vino invece è un investimento relativamente abbordabile: è una coltura sfidante dove la competenza può dare un grosso valore aggiunto".

Lanno della svolta è il 2015. Mentre sta per laurearsi, Giovanni comincia a fare esperienza in alcune cantine della Franciacorta e, soprattutto, trova l’occasione per acquistare 7 ettari di terreno nella zona montuosa del comune di Berchidda. È qui che costruisce il suo piccolo nuovo mondo, quelle Vigne Cappato che oggi rappresentano un’interessante novità nel panorama enologico sardo. "È stata dura – ricorda – il primo anno non avevo nemmeno il trattore, ho fatto tutto con la zappa. Nel 2017, quando ero pronto per la prima vendemmia, c’è stato il gelicidio e ho dovuto ricominciare praticamente daccapo, così la prima vinificazione l’ho fatta solamente nel 2021". Appena 7.000 bottiglie, di un singolo vino, quest’anno salite a oltre diecimila con due etichette, con un potenziale di cantina per arrivare sulle 20mila.

Insomma, la strada è tracciata e oggi, a 50 anni, Giovanni Cappato raccoglie i frutti di quanto seminato negli ultimi dodici. Circa tre e mezzo gli ettari vitati, tutti a Vermentino, il vitigno bianco per eccellenza della Sardegna che in Gallura trova la sua espressione più rinomata. Il Ghjilà è un Vermentino di Gallura Docg Superiore, che affina prima in acciaio e poi in bottiglia per uscire solamente dopo un anno, distinguendosi dalla stragrande maggioranza dei suoi fratelli che entrano in commercio nel marzo successivo alla vendemmia. Il Nibe è invece un Vermentino Frizzante rifermentato in bottiglia, un vino unico nel suo genere che ben definisce la filosofia di Vigne Cappato. "Non ho una storia alle spalle – spiega il vignaiolo – quindi ho costruito una visione del mio modo di fare vino che è molto personale. Ho deciso di piantare i vigneti in altura perché voglio dare un’immagine diversa del Vermentino, trattarlo come un grande vino con potenziale di invecchiamento, quindi in vigna ricerco l’acidità anche a discapito di un po’ di freschezza. È una scelta controcorrente, non dettata dal mercato, ma che comincia a essere premiata".

E che in un certo senso lo riporta a casa. "I miei vini non li vendo in Sardegna – racconta Cappato – ma sono richiesti a Milano, in ristoranti anche importanti, che è il target cui ambisco. Voglio infatti portare il Vermentino nelle carte vini dei locali di alta cucina, in Italia e all’estero”.