"Devo dirlo a mia moglie". L’assassino sai già chi è, lo hai visto commettere il delitto subito, nelle prime sequenze, ma per assicurarlo alla giustizia ci vogliono indagini accurate, servono le prove, e per trovarle c’è soltanto un detective apparentemente improbabile.
Ha un soprabito beige lungo e stazzonato, una macchina un po’ scalcinata (una Peugeot decapottabile), un cane senza nome che chiama semplicemente “Cane“, mezzo sigaro sempre in bocca, i capelli arruffati e neppure uno straccio di pistola.
È pacato, ama la musica lirica, ha un modo di fare tranquillo e distratto, ma solo apparentemente. Perché in realtà intuisce tutto al volo e, come in un gioco di pazienza, alla fine incastrerà sempre il colpevole.
"Devo dirlo a mia moglie", che peraltro in carne e ossa non compare mai, è una delle frasi noncuranti e divertite con cui spiazza anche lo spettatore. Quelle cinque parole sono passate alla storia di una serie televisiva andata in onda (negli Stati Uniti d’America) fra il 1968 e il 2003.
A pronunciarle, appunto, uno dei detective più amati del piccolo schermo, protagonista di una serie vincitrice di quattro Premi Emmy e che ebbe come registi in alcune puntate cineasti del calibro di Steven Spielberg o Jonathan Demme. Ma anche interpreti di vaglia come Leonard Nimoy (il vulcaniano Spock di Star Trek), Donald Pleasence e il cantautore Jonny Cash: è il Tenente Frank Colombo (“Columbo“ negli States), ufficiale della squadra omicidi della polizia di Los Angeles. Anzi, per la precisione, del Los Angeles Police Department LAPD, che è un po’ la loro polizia locale. Il personaggio portato al successo dall’attore Peter Falk è nel cuore tuttora di moltissimi telespettatori, ed è soprattutto emblema di un modo nuovo e diverso di mettere in scena o scrivere polizieschi, per nulla brutali, ma profondamente umani. Fra le caratteristiche peculiari del personaggio, ovviamente, c’è anche la sua voce. Una voce inconfondibile, che arriva(va) da Muggiò. Anzi, dalla Taccona di Muggiò.
Perché era proprio dai confini di Monza che arrivava quello che è stato per oltre una trentina d’anni un attore di successo, caratterista, doppiatore rimasto negli annali, fra le altre cose, come la voce appunto dell’amato tenente Colombo.
Si chiamava Giampiero Albertini. A parlarne e a riportarne alla luce un ricordo altrimenti sbiadito persino nel suo quartiere natìo, Pierangelo Arosio, memoria storica locale, che ne ha parlato più di una volta sulla propria pagina Facebook.
Per la precisione, secondo quanto ricostruito con pazienza da Arosio, tutto partirebbe da quello che un tempo era stato il cuore nevralgico del quartiere, il Palazzo dei Conti Taccona, o “Palazzone”. Un luogo collegato, secondo la leggenda, al Castello di Monza grazie a un tunnel sotterraneo. Giampiero Albertini nacque proprio lì, a Palazzo Taccona, il 20 dicembre del 1927. Rimasto orfano di madre, una Pessina, famiglia che all’epoca era proprietaria del Palazzone, visse in una famiglia numerosa, con 13 tra fratelli, fratellastri, sorelle e sorellastre. Il padre era cassiere alla Falck. Sembra che Giampiero Albertini abbia mosso i primi passi come attore, ovviamente a livello ancora amatoriale prima di passare al Teatro Piccolo di Milano, nelle recite e negli spettacolini messi in scena all’oratorio Regina Immacolata di Taccona. Poi, la carriera lo avrebbe portato lontano dalla sua Taccona fino a Cinecittà, a Roma, dove col suo profilo spigoloso, la voce profonda e i lineamenti marcati avrebbe girato decine di film, polizieschi, western, commedie, con registi come Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Comencini, Gillo Pontecorvo, Francesco Rosi.
L’epilogo, come in tutti i film (e pure telefilm) che si rispetti arriva con la morte terrena, il 15 maggio 1991 nella sua casa di Roma. Trovato da uno dei suoi tre figli. Un arresto cardiaco, non una parola di più. Neppure quell’ "Ah, un’ultima cosa" con cui il suo Tenente Colombo spiazzava sempre il colpevole. Sipario.
Se qualcuno dovesse aver voglia di riscoprire quei telefilm, autentico saggio di bravura e professionalità, non farebbe neppure troppa fatica. Vengomo tuttora mandati in replica alla televisione. Perché, almeno Tv, il sipario si sposta sempre un passo più in là.