DARIO CRIPPA
Cronaca

Dalla fabbrica al Paradiso. L’incontro con Mandela e il sorriso di Vialli. Filippo Galli racconta

Figlio di un costruttore di presse, con la sua serietà ha scalato il calcio. Tredici anni da giocatore al Milan a marcare Maradona e Romario. L’apoteosi quasi per caso ad Atene nella notte contro il Barcellona.

Dalla fabbrica al Paradiso. L’incontro con Mandela e il sorriso di Vialli. Filippo Galli racconta

"Sono nato alla Clinica Zucchi di Monza, ma sono cresciuto a Villasanta. Mio padre era un piccolo imprenditore nel settore metalmeccanico, faceva presse". Filippo Galli nasce il 19 maggio 1963 in una tipica famiglia brianzola, molto seria, pochi grilli per la testa, senso del dovere. "Mi hanno insegnato a stare sempre concentrato sul mio compito, è stata la mia forza".

Gli sarebbe servito a restare 13 stagioni al Milan (325 partite e 17 titoli) come stopper, molte in panchina, ma sapendo farsi trovare sempre pronto al momento giusto. "Al calcio sono arrivato relativamente tardi, ho fatto anche ginnastica artistica. Mi ero iscritto all’Hensemberger di Monza, ma dopo due anni mi resi conto che qualcosa non andava". Non si studiava abbastanza. E Galli è rigoroso. "Mi sono iscritto al serale dai Salesiani, istituto tecnico: volevo imparare un mestiere, mio papà mi mandava già in officina. Intanto giocavo a calcio nelle squadre del mio paese, Cosov e Villasanta in prima categoria".

Finché...

"A 17 anni mi chiamò il Milan, due anni di Primavera e poi un anno in prestito a Pescara".

Castagner lo rivolle al Milan.

"Gliene sono sempre grato: aveva molta cura dei giovani".

Poi Liedholm, un monumento: memorabili le sue battute...

"Un giornalista entrando nella sala Tv non ci vide, eravamo coperti dalla parete e chiese: ‘Nils, e i giocatori?’ E lui imperturbabile: Non ho iocatori, mi arrangio con questi…".

Poi Berlusconi. E Sacchi.

"C’è un calcio prima e dopo. Berlusconi portò la sua cultura aziendale, l’organizzazione. E Sacchi fu la vera rivoluzione, il mio Maestro".

All’inizio non fu semplice.

"Era maniacale, ore ad ascoltare le sue disposizioni tattiche e alla sera passava dalle nostre camere in ritiro per ribadirle… a volte fingevamo di dormire".

Presentazione in elicottero all’Arena e i proclami ma....

"Perdemmo in casa con la Fiorentina e uscimmo dalla coppa con l’Espanyol. La società fu brava a difenderlo".

Ne nacque il Milan più bello...

"La svolta la vittoria a Verona, era appena nato mio figlio. Poi fu una cavalcata. Quel Milan non si limitava a vincere, ma dava spettacolo. Da Napoli uscimmo fra gli applausi dei Napoletani. Non volevamo solo vincere, ma regalare emozioni attraverso il gioco".

I compagni?

"Avevamo un rito propiziatorio: il nostro bibitone".

Detta così, sembra doping ...

"Macché! Mescolavamo coca cola e Polase, tutti ne bevevano un sorso. C’era grande serietà, ma anche goliardia".

Ad esempio?

"Mettemmo una puntina sulla sedia di Marco Simone. Si procurò una lesione e dovette saltare la partita del giorno dopo… però fu un grande, non ci tradì, finse uno stiramento".

E Berlusconi?

"Io vivevo a Villasanta e lui ad Arcore. Ogni tanto mi chiamava e andavo a trovarlo, a parlare di calcio. O meglio, lui parlava e io ascoltavo".

Come quando Sacchi diede il diktat per cedere Van Basten.

"Berlusconi parlò, parlò, era affezionato a Sacchi ma poi si bloccava e mi diceva: ‘Ma come faccio a mandar via Van Basten? È il calcio…”".

Il rapporto proseguì.

"Nel 2017 andai al San Raffaele, Berlusconi era stato appena operato al cuore, passai dai sotterranei per raggiungere la sua camera… e parlare di calcio".

Nel 1994 la finale di Coppa dei Campioni ad Atene.

"Partivamo sfavoriti, il Barcellona di Cruijff con Romario e Stoickhkov le vinceva tutte. E il Milan era in fase calante, Berlusconi aveva tutti gli occhi addosso perché era entrato in politica. E Baresi e Costacurta erano stati squalificati prima della finale",

Capello non aveva più i suoi pilastri. Sarebbe toccato a Lei, ma Capello provò Desailly.

"Facemmo un’amichevole con la Fiorentina, fu disastrosa".

Si dice che Desailly giocò male apposta.

"Mi sembra difficile da credere. Di sicuro non aveva l’attitudine giusta. E due giorni prima della partita Capello mi comunicò che avrei giocato io… Non potevo sbagliare o tutta la mia carriera sarebbe stata ricordata solo per quella partita".

Il Milan vinse 4-0.

"Savicevic fece Savicevic, da croce a delizia. Per me fu la consacrazione: annullai Romario".

Gli avversari più forti?

"Maradona… ma il mio preferito era Zico, era anche affabile…

Pruzzo il più duro, picchiava".

Ma un brutto fallo glielo fece… Van Basten.

"Era nervoso, mi fece un’entrata in allenamento: ginocchio spaccato".

Gli infortuni la frenarono?

"Ho fatto 7 operazioni, ma dico sempre che mi hanno allungato la carriera. Ho smesso a 40 anni e mezzo alla Pro Sesto".

Prima era stato in Inghilterra.

"Mi chiamò Vialli al Watford, avevo 38 anni. Ho sempre adorato il calcio inglese, per me era un sogno. Di Vialli ricordo soprattutto un sorriso".

Quale?

"Avevamo perso malamente, fece una lunga sfuriata, era arrabbiatissimo… finché si sentì un…. ’prroot’... ‘Chi ha scorreggiato?’ chiese subito in inglese. E uno dello staff rispose subito: “It’s me“. Finì in un sorriso che non dimenticherò mai".

Il ricordo più emozionante?

"Nelson Mandela era appena stato liberato dopo 27 anni di carcere ed era diventato presidente del Sudafrica. Col Milan andammo a giocare un’amichevole coi Bafana Bafana. E Mandela ci volle parlare nel suo ufficio: un’emozione da brividi".

A Brescia ritrovò Baggio.

"Al Milan era già buddhista, aveva la camera a fianco alla mia. E si alzava all’alba a dire le sue preghiere, ma svegliava tutti e a me toccava andare a bussare alla sua parete. Al Brescia, visto che sapevo l’inglese, si fece tradurre un libro di preghiere buddhiste... ma non mi convertì".