Coronavirus, l’angoscia e la paura di un padre medico

Lui e la moglie in prima linea in ospedali diversi e a casa ci sono due figli con con disturbi dello spettro autistico da accudire

Medici in prima linea nell'emergenza coronavirus

Medici in prima linea nell'emergenza coronavirus

Monza, 13 marzo 2020 -  «Non siamo eroi, siamo uomini e anche noi abbiamo paura del coronavirus. Ogni giorno che entro in ospedale, anche con tutte le precauzioni del caso, ho paura di infettarmi e tornando a casa di contagiare la mia compagna e i miei bambini". Così parla un medico monzese che, per ovvi motivi, ci chiede l’anonimato. La sua è una situazione molto delicata: il medico lavora fuori provincia, in un ospedale che da settimane è sotto pressione per il coronavirus. La sua compagna lavora in un altro nocosomio e con il blocco delle scuole diventa difficile la gestione familiare con due bambini con disturbi dello spettro autistico.

Dottore dobbiamo avere paura del coronavirus?

" Il Covid-19 non è una semplice influenza: sarebbero da denunciare quelle persone che continuano a sostenere questa versione. Anche noi siamo spaventati, abbiamo paura di ammalarci. Si ammalano persone di tutte le età, soprattutto anziani, ma arrivano anche giovani con febbre e difficoltà respiratorie più o meno gravi. È un virus subdolo, che può dare un brusco peggioramento. Noi dobbiamo essere in grado di captarlo rapidamente. Non è facile: io non sono un rianimatore, né un internista o un pneumologo e sono come altri in prima linea. Tutti siamo chiamati a curare questi pazienti anche se proveniamo da specializzazioni diverse. I colleghi esperti ci istruiscono su come muoverci. Il nostro compito è captare in tempo i segnali di peggioramento".

Con che spirito entra in ospedale?

"Di grande responsabilità. Ogni volta che varco la soglia del nosocomio io, e i miei colleghi, entriamo in trincea. Ho paura di andare al lavoro, di tornare e di contagiare i miei cari. Ma al tempo stesso mi armo del senso di responsabilità e del mio dovere di curare e salvare vite umane. Sentendoci anche inadeguati di fronte a un virus che si sta diffondendo a una velocità pazzesca. Quando vedo i pazienti, magari anziani, penso se in quel letto ci fosse mia madre e allora la paura di non essere all’altezza di fronte a un virus sconosciuto lascia il posto al coraggio e alla tenacia di andare avanti. Quando mi bardo vado avanti a lavorare per ore senza sosta. Non mangio, non vado in bagno per ridurre ulteriormente le possibilità di contagio".

Come è cambiata la sua vita?

"È stata rivoluzionata. I miei bambini sono a casa da scuola e non possono rimanere da soli né, avendo problemi relazionali, posso affidarli a una tata. Anche perché non voglio esporre ad ulteriori rischi esterni. Malgrado noi prendiamo tutte le precauzioni del caso. Io e mia moglie ci diamo i turni".

È preoccupato per i suoi bambini?

"Sono terrorizzato. Non solo per il contagio, ma anche perché il virus relegandoci in casa ha fatto perdere loro tutti quei passi da gigante che con l’insegnante di sostegno avevano fatto. Certo, ci sono le lezioni a distanza, ma non è la stessa cosa. E comunque mentre sono a casa ricevo costantemente gli aggiornamenti dei miei colleghi sull’evoluzione dell’emergenza e poi penso che il giorno dopo dovrò tornare in trincea".

Come la guardano i vicini di casa? "A volte come il dottore che lavora in mezzo agli appestati. Mi guardano da lontano; è normale li capisco. Avrei paura anche io. Perché ad oggi per Covid-19 si continua a morire".

Cosa le fa più male? "Non essere ancora riusciti a sconfiggere il virus. Ma anche quando devo far addormentare il mio bambino: per lui la routine è importante e si addormenta solo con il contatto fisico. Vederla sconvolta mi fa piangere".

Come sta dottore?

"Non ce la facciamo più. Siamo sottoposti a una fortissima pressione non solo fisica ma anche psicologica. Ci sono colleghi che dormono in ospedale. Grazie per la sua telefonata. Per mezz’ora mi ha regalato la possibilità di sfogarmi e di parlare con qualcuno. Di sentirmi ancora vivo".