DIEGO VINCENTI
Milano

Rocco Papaleo, spietato capitalista in 'Peachum' di Brecht

Dal palco di Sanremo alla riscrittura de 'L’opera da tre soldi': la mia leggerezza non è superficialità

Rocco Papaleo in scena

Milano - Dieci anni fa era a Sanremo. Oggi invece Rocco Papaleo si ritrova protagonista di "Peachum", la riscrittura brechtiana firmata Fausto Paravidino, da martedì all’Elfo Puccini. Un passo di lato rispetto al mainstream. Per un’ambiziosa lettura contemporanea de "L’opera da tre soldi". Dove l’attore lucano si cala nei panni di un Peachum trasformato in borghesissimo capitalista senza scrupoli, piuttosto irritato dalla figliola innamorata di quel mezzo criminale di Mackie (interpretato da Paravidino). Prospettive per un lieto fine: quasi nulle. Con i due affiancati in scena da Federico Brugnone, Romina Colbasso, Marianna Folli, Iris Fusetti e Daniele Natali.

Papaleo, come si trova nei panni di Peachum? "È uno scarto rispetto a quello che ho fatto in passato. E credo sia il riflesso di una tensione verso il nuovo che appartiene al mio percorso artistico. Peachum è un capitalista che fa i soldi sul mercato nero. Un uomo schematico, con una sua filosofia, pragmatico, che finirà per perdere il suo equilibrio". Simboleggia la deriva di una società sempre più legata al profitto? "Sì, penso sia stata l’intenzione principale di Fausto nell’affrontare questa riscrittura. Si osserva oggi una totale centralità del capitalismo rispetto a un secolo fa, quando era ancora un fenomeno nascente". Qualche antidoto? "Io non ne sono a conoscenza... Sia io che lei, ad esempio, lavoriamo nella cultura e proviamo attraverso questa a cambiare le cose. Ma la politica è una brutta bestia. Ogni risposta andrebbe verso orizzonti utopistici". Come ha conosciuto Paravidino? "Cercava un interprete popolare che aiutasse la storia ad arrivare a un pubblico più vasto. Quando mi ha fatto leggere il testo l’ho trovato bellissimo, il resto è venuto in modo naturale, con le prime prove già nel 2020, senza poi riuscire ad andare in scena. Non ti nascondo che all’inizio ho avuto difficoltà, era come arrampicarmi a mani nude. La pausa ha aiutato il lavoro a sedimentarsi". Ha avuto paura nell’affrontare la nuova avventura? "Sono un attore elastico, mi pongo di fronte alle cose con leggerezza, che non vuol dire superficialità. Non avevo timore ma mi sono sentito pungolato nell’orgoglio e mi ha richiesto un impegno diverso rispetto alla mia storia. Una sensazione positiva, di abnegazione, non so che sviluppi potrà avere. La mia carriera è sempre stata disomogenea, fa parte della mia indole andare a zonzo. E non ho voglia di fare previsioni. Ho 64 anni, mi sento abbastanza realizzato dal permettermi di non ragionare troppo sui progetti futuri". Andando a zonzo, dieci anni fa è finito a Sanremo. Ogni tanto le manca quel palcoscenico? "È stato entusiasmante, un’occasione unica. Ti ritrovi al centro del Paese per una settimana. Poi vivendolo da outsider è stato quasi solo divertente. Ma non sento la mancanza di quel palco in particolare. Mi è mancato in generale il palcoscenico in questi ultimi due anni così difficili". Nei prossimi mesi? "Ho finito “Scordato“, il mio quarto e migliore film, anche se ogni scarrafone è bello a mamma sua. Racconta di un accordatore di pianoforti ma il titolo fa riferimento al sentirsi accordati o meno con la vita. È in post-produzione, non so quando lo faremo uscire, le sale sono vuote, aspettiamo tempi migliori".