
L’Ultima Cena, un mosaico di istantanee
Milano, 21 novembre 2019 - Dai ritratti a mosaico dei contemporanei Lady Gaga, Robert De Niro e Johnny Depp è passato, andando a ritroso nel tempo, all’iconica opera di Leonardo. Maurizio Galimberti, istant artist di livello internazionale, brianzolo di nascita («ma vivo a due passi dalla Scala»), capace di catturare nei suoi scatti una «doppia vita», quella di chi si fa fotografare e la sua, ha accettato la «sfida». Una rilettura dell’Ultima cena. Il risultato è un mosaico che non lascia indifferenti, filtrato dalla sua poetica, con sfumature dadaiste e cubiste. Tremila scatti di Polaroid («ne ho buttati pochissimi, sono un pignolo») a scomporre la scena del dipinto leonardesco in 25 «studi» (dettagli) preparatori fotografici, dell’Ultima Cena. Opera da oggi in mostra sino al 12 gennaio, allestimento di Denis Curti, alle Gallerie d’Italia, in dialogo con la sezione Cantiere del ’900.
Con che spirito ha affrontato questo progetto? «Carico di umiltà ma consapevole di confrontarmi con personaggi come Peter Greenaway e Andy Warhol. Mi sono detto: “O fai una cosa potente o lasci perdere!”. Ci sono voluti mesi di lavoro. Ho seguito l’istinto, non sbaglio mai, perdonate l’immodestia. Sono onorato di esporre accanto a Canova».
Ha vivisezionato il Cenacolo... «L’opera ha enormi dimensioni, per farla ho usato come modello una foto a grandezza naturale dell’Archivio Scala Firenze, stampata col plotter. Era impossibile lavorare sopra all’originale per la fragilità del Cenacolo».
Anche perché la sua tecnica prevede vicinanze insidiose. Che macchine ha usato? «Diverse. Ho lavorato con le grandi Polaroid 50 per 60 e le nuove, una Fuji Istax Square che sarebbe piaciuta a Warhol. È stato un bel viaggio. Il risultato mi ha sorpreso, spero faccia lo stesso effetto ai visitatori. Ci sono immagini sontuose, spettacolari, e potente è il dipinto. Leonardo avrebbe apprezzato».
Come mai l’uso di Polaroid? «Ho sempre avuto paura del buio. Ho vissuto i primi 5 anni in un istituto per orfani prima di essere adottato da una splendida famiglia. Non avrei mai potuto lavorare in una camera oscura...con la Polaroid ho realizzato il sogno della fotografia. Un grande amore, avevo 14 anni. È diventato il mio modo di guardare e stare al mondo. Non più da spettatore, da protagonista».
Il primo esperimento con i mosaici risale al 1989... «Mi colpì un mosaico a casa dei miei genitori, San Giorgio che uccide il drago, appena arrivai dall’orfanotrofio. Era destino».
Quale personaggio ha amato ritrarre di più? «I grandi vecchi. Mi hanno regalato emozioni, i valori più forti. Ho imparato la leggerezza di affrontare la vita nelle difficoltà. Dopo mia madre che ha quasi cent’anni, ho nel cuore Norberto Bobbio, Lalla Romano, Mario Monicelli e Gillo Dorfles».