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Milano, 29 febbraio 2016 - Belle Époque, crepuscolo dell’Ottocento. I governanti non vogliono fare la guerra e lasciano fare la rivoluzione agli industriali. Un geniale commerciante apre i grandi magazzini Liberty. Ma l’Immagine del mondo come Magasin d’Art, dove l’ornamento è tutto, la disegna Alfons Mucha. Nato nel 1860 in un paesino dell’attuale Repubblica ceca (allora Impero austro-ungarico), geneticamente incline allo spiritualismo (quindi alla massoneria) e capace, secondo la leggenda, di disegnare ancor prima di camminare, scova la profondità della leggerezza fin-de-siècle. Nelle curve della donna rappresenta la curva della vita.
Il ripudio del passato pretende infatti un nuovo stile: Art Nouveau, forme sinuose per proclamare in ogni espressione, pittura, musica, architettura, stoffe, mobili, lampade, teiere, la fiducia nel Novecento. L’ammaliante forza della giovinezza diventa modello di bellezza diffusa anche nella banalità del quotidiano. Un’utopia. Del nuovo repertorio di eleganza estetica, la gente comune può comprarsi al più un calendario o una litografia. E la fama di Mucha è legata proprio ai calendari, venduti e stampati in massa. A questi beni di consumo è dedicata la sezione “il Tempo” tra le otto che scandiscono a Milano, Palazzo Reale, la mostra “Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau”.
Lui, uno dei padri del movimento, riconosceva il co-fondatore architetto Henry van de Velde. Ma Jirí Mucha, figlio di Alfons, precisa: «Mio padre non ha mai parlato di Art Nouveau, invece ha sempre detto “l’ho fatto a modo mio”». Ecco, lo “stile Mucha”, o semplicemente “le Mucha”, il filo da afferrare nel percorso. Tra 220 pezzi rappresentativi della comune matrice europea chiamata anche Jugendstil, Modern Style, Style Sapin, Stile Floreale o Liberty, numerosi sono gli esemplari di vari maestri: vasi Gallé, e Lalique, e Daum, una torciera con libellule di Mazzucotelli, una fioriera a specchio di Carlo Zen, piatti e cache-pot del poliedrico Galileo Chini, che rifonda a Firenze l’Arte della ceramica perché deluso dalla cessione del marchio Ginori di Doccia al milanese Richard. Manufatti tutti, tranne il funereo pianoforte in mogano nero di Alberto Issel, che vorremmo portarci a casa. Ma solo Mucha riesce a far sognare con la confezione di un saponetta.
A scoprire il suo talento è la cinquantenne Sarah Bernhardt. Nel 1895, folgorata dal manifesto per la piéce teatrale Gismonda, prodotto per puro caso da Mucha con prodigiosa rapidità, lo incarica per sei anni di disegnarle anche scenografie, costumi, gioielli, consacrandolo ricercato autore di arte applicata a Parigi (vedi in apertura della mostra l’interno del negozio Fouquet) e osannato a New York. Lui consacra lei diva mettendole in mano la palma dei martiri paleocristiani e intrecciandole nei capelli i gigli dell’Immacolata. Associare ingegnosamente sacro e profano, ecco “le Mucha”. Fanciulle sante che seducono in manifesti pubblicitari o pannelli decorativi, dove sono resi visibili i desideri segreti degli spettatori: sigarette, birra, cioccolato, biscotti, profumi, champagne, una bicicletta, o le vin des Incas alla coca, venduto in tutte le farmacie. Vin de jeunesse gradito anche al papa. Beata Belle Époque. La fine, per Mucha, arriva nel ’39, quando lo arresta la Gestapo.