
Milano, 4 ottobre 2020 - Bello rivedere Fabrizio Gifuni sul palco. Aiuta a riacquisire una parvenza di normalità. Dal 6 al 17 ottobre è il Piccolo Teatro Grassi ad ospitare “Con il vostro irridente silenzio”, nuova tappa del progetto "antibiografia di una nazione" che l’attore romano (ma qui anche drammaturgo e regista) sta dedicando alla nostra storia recente. Dopo Gadda e Pasolini, ecco i 55 giorni del sequestro Moro. Indagando le centinaia di pagine del memoriale scritte durante la prigionia.
Gifuni, perché Moro?
"È un capitolo di storia su cui si sono già scritte migliaia di pagine e di inchieste. Per questo fin dall’inizio mi è interessato occuparmi di qualcosa di poco approfondito come il memoriale e le lettere inedite. Sono emerse due domande fondamentali: la prima riguarda i 55 giorni, la seconda invece ci interroga da vicino".
Cominciamo con il sequestro.
"Perché le BR, che a quel punto disponevano di un materiale incredibile, decisero di non renderlo noto? In quelle pagine Moro risponde meticolosamente a ogni singola domanda che gli viene posta durante il “processo rivoluzionario”. Tanto che le BR inizialmente affermano: “Il prigioniero sta collaborando, tutto verrà reso noto al popolo”. Ma a parte poche pagine, non fu così. I 419 fogli furono ritrovati solo nel 1990, nel covo di via Monte Nevoso, dietro a un pannello che cadde accidentalmente".
Misteri delle ristrutturazioni. Qual è invece la domanda che riguarda la nostra società?
"Capire le ragioni per cui questi materiali, dopo essere stati nascosti e ritenuti pericolosi, una volta pubblicati sono caduti nell’oblio. Come fosse una seconda damnatio memoriale. Forse perché siamo in un’epoca in cui c’è stato ripetuto ossessivamente che la memoria è una faccenda inutile e che viviamo in un paese nuovo, di gente nuova. Non avrebbe dunque senso approfondire il passato. E invece è proprio questo che mi ha interessato".
Cosa intende? "Ho voluto compiere ogni sera un esperimento. Trasferire al centro della scena questo meteorite proveniente da un altro tempo. E provare a condividerlo con i corpi degli spettatori, per capire se la sua materia è ancora incandescente. C’è un passaggio in cui Moro scrive: se decidete la mia condanna a morte, se siete tutti d’accordo, sprofonderete in un pantano dal quale sarà molto difficile risalire. Credo che spesso ci capiti di vivere quella sensazione di affogare in un pantano senza capire bene come ci siamo finiti. Riannodare i fili della memoria non lo rende meno brutto o profondo. Ma forse diventa più comprensibile".
Ma lei che idea si è fatto? "Che se trattativa c’è stata, il cuore della trattativa sono state le carte e non il corpo di Moro".
Sul palco? "Con i fogli traccio un perimetro. E poi c’è la bellezza della scrittura. Sono pagine che possiedono altezze shakespeariane".