
La mostra di Bramante a Brera
Milano, 20 agosto 2015 - Un complesso unico al mondo, quintessenza della grande Illuminismo lombardo, in cui confluirono le migliori spinte della cultura e della politica. Potrebbe, con le dovute differenze di scala, gareggiare con l’Isola dei Musei di Berlino. Ma per governare le stratificazioni di Brera ci vorrebbe la normativa tedesca, non quella nostrana. Una vera impresa coordinare le competenze dei diversi Ministeri e del Demanio (proprietario degli immobili) da cui dipendono la Pinacoteca, la Biblioteca, l’Accademia, l’Orto botanico, l’Osservatorio astronomico. Forse il più autonomo è l’Istituto lombardo Accademia di Scienze e Lettere che pure ha sede nel Palazzo di Brera, ed era stato voluto da Napoleone sul modello dell’Institut de France per raccogliere le scoperte e perfezionare le arti e le scienze. Allora, il primo presidente nominato dal governo fu Alessandro Volta, inventore della pila. Poi, Alessandro Manzoni.
Grande Brera. Non può ridursi solo a uno slogan, magari contrapposto a Brera-in-Brera. Grande Brera non dovrebbe solo significare il progetto di annessione (da anni in sospeso) di Palazzo Citterio, o peggio l’estromissione dell’Accademia per far spazio ai capolavori, bensì apertura alla città e alla partecipazione sociale. Ma difficilissimo è il rapporto con la società civile, a parte gli Amici di Brera, «l’unico ganglio che funziona nel sistema», riconosce Daverio. Quanto sia difficile soprattutto la gestione, e perenni le istanze di rinnovamento, lo prova il caso di Franco Russoli, leggendario soprintendente, arrivato negli anni ‘70 a chiudere la Pinacoteca per denunciare la mancanza di spazio. Brera non ha proprio lo spazio per fare mostre, ripete oggi, ancora, Daverio. Possiede questo museo opere eccelse come il Cristo Morto di Mantegna, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, la Pala Montefeltro di Piero della Francesca, oltre a Caravaggio e Tintoretto.
E malgrado ciò è uno dei musei meno visitati d’Italia. Quanti italiani o stranieri conoscono il lavoro professionale di restauro svolto dal personale di Brera? Auspicabile dare a questo visibilità pubblica, oltre che indignarsi per la regolarità degli scioperi di altri addetti e l’impossibilità di chiedere loro straordinari. Almeno la conflittualità tra struttura della conservazione - la Pinacoteca bisognosa di ampliamento - e struttura della formazione, l’Accademia, sembra superata nelle dichiarazioni del suo direttore Franco Marrocco. E a chi osserva che gli studenti, più che nelle sale a prendere ispirazione dai capolavori, si vedono fumare sulle scale, fa arrivare l’invito di andare a vedere semmai la ripulitura eseguita dagli allievi sui gessi, preziosa collezione di proprietà dell’Accademia, una volta esposti al pubblico ludibrio, ora allineati in bella mostra. A questo punto, perché non immaginare un’armoniosa realtà ostensiva ancora più allargata, Brera fulcro dei Musei dell’Ottocento lombardo, modello alternativo al Louvre e al Guggenheim, capace di attirare gli abitanti di Shangai e di Atlanta anche verso la Certosa di Pavia, e la Villa Reale di Monza, e la Carrara di Bergamo...