DIEGO VINCENTI
Cultura e Spettacoli

Alessandro Bergonzoni: "Cerchiamo tutti una ribalta ma non ci ribaltiamo mai"

Imperdibile “Trascendi e Sali”, dal 2 luglio all’Elfo Puccini diretto a quattro mani con Riccardo Rodolfi. Un regalo inatteso. Di fine stagione. Dove chi passa prende ciò che desidera

Bergonzoni in 'Trascendi e sali'

Milano, 1 luglio 2018-  «Cerchiamo tutti una ribalta. Ma non ci ribaltiamo mai». Ecco: se ci si adagia sul gioco di parole, si ride per due ore. Fa male la mascella usciti da teatro. Se però ci si sofferma un attimo, si apre un baratro. È l’uomo allo specchio. E quello che vede è l’orrore. Mai così amaro Alessandro Bergonzoni. Eppure, fra le pieghe, emerge con forza la speranza. Imperdibile “Trascendi e Sali”, da domani all’Elfo Puccini diretto a quattro mani con Riccardo Rodolfi. Un regalo inatteso. Di fine stagione. Dove chi passa prende ciò che desidera. Chi le risate. Chi il dolore. Chi l’assedio a un’intelligenza mai sottovalutata. Come lo spettatore.

Bergonzoni, perché «Trascendi e Sali»?

«Lavoro sullo spostamento verso l’altro. Non è un dubbio ma un invito: andiamo oltre la realtà e saliamo, come cittadini, come esseri umani, come giudizi. Non siamo votati alla morte come i migranti, siamo votati per essere eletti, tendere alla grandezza. Anche se tutto questo può portare alla pazzia».

Cosa intende?

«È un’operazione borderline. E infatti è tutto unito, mischiato: alto/basso, caldo/freddo, nero/bianco. Nella risata più decisa trovi l’urlo profondo. Io d’altronde non riesco più a dividere le cose, a pensare a mio figlio e non al figlio dell’altro».

La società sembra andare in un’altra direzione.

«Ora la grandezza è potere, consenso, comando. Si fa richiesta al Ministero degli Interni ma io preferirei il Mistero degli Interni. Perché chiedere a qualcun altro? E poi nel momento più sbagliato. Mi rendo conto che possa sembrare utopico ma io ne ho bisogno per arrivare ad altro, non posso fermarmi alla risata, all’applauso. Per me il lavoro d’artista è un’azione, non si va a casa dallo spettacolo. Vorrei la Pratica dell’Assoluto, non la Teoria della Relatività».

Ha fiducia nell’uomo?

«No. Io non penso “restiamo umani”. L’umanità permette che una barca vaghi con 300 persone a bordo. L’umanità è Regeni o una cella sovraffollata con 20 persone. Gli uomini sono quelli che uccidono le donne. Mi interessa la sovrumanità, la meditazione, la trascendenza. E non riguarda Dio o le religioni. Mi interessa la linea di non fine, dove si prosegue da me a te. Questa è la sovrumanità. E parte tutto dagli asili, dalle scuole: sono lì il Senato, il Parlamento. Anche l’arte è formazione. Ho fiducia solo nell’uomo che supera se stesso. Che capisce che la grandezza non è essere la rockstar, l’industriale, Valentino Rossi».

Saranno l’arte e le scuole a salvarci?

«Questa è una parola chiave: salvare. La usiamo 30 volte al giorno ma non la sentiamo: è un click o una salvezza? Dicono che gioco con le parole, figurarsi ora che mi sono avvicinato a Joyce. Ma c’è molto di più. È il libro di poesia quando lo chiudi. Bisogna andare nelle scuole, sì. E possibilmente oltre se stessi. Certo, è impegnativo. Rischi davvero d’uscire di testa. Ma tutto questo demandare, non ha comunque creato oggi una follia?»