Covid, pandemia finita? "Un brodo di varianti che ci fa sperare. Ma teniamo ancora alta la guardia”

Parla Fabio Angeli, ricercatore dell’università dell’Insubria. Con il suo gruppo di lavoro ha individuato un’evoluzione delle mutazioni del Sars-CoV-2 verso una minore aggressività

Fabio Angeli, ricercatore dell’università dell’Insubria

Fabio Angeli, ricercatore dell’università dell’Insubria

Milano –  “L’altra volta speravo di sbagliarmi, stavolta spero di avere ragione", sorride Fabio Angeli, professore di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università dell’Insubria e direttore della Cardiologia dell’Ics Maugeri di Tradate. Dov’è arrivato a dicembre 2019, trovandosi quasi subito sulla prima linea della pandemia. Una guerra che non è mai finita, ma è cambiata nel tempo: da circa un anno, col suo gruppo di lavoro, si concentra sull’ intelligence , lo studio delle varianti del Sars-CoV-2 continuamente generate da "mutazioni casuali, provocate da errori nella replicazione cellulare. Alcune possono essere “negative” per il virus, lo portano ad estinguersi, altre potrebbero farlo diventare ancora più aggressivo".

Otto mesi fa, al termine dell’anomala ondata estiva, Angeli parlava al Giorno dei suoi studi su Centaurus. E non si sbagliava sull’"adesività" maggiore alle cellule umane di quella pronipote di Omicron scoperta in India; progressione che sarebbe continuata nei mesi successivi con Cerberus e Kraken, protagonista del penultimo articolo pubblicato dal suo gruppo sull’ European Journal of Internal Medicine . L’ultimo, firmato da Angeli sempre con la biotecnologa dell’Insubria Martina Zappa e col ricercatore cardiovascolare Paolo Verdecchia, s’intitola invece "Un viaggio da Wuhan alla variante Arcturus (XBB.1.6)", scoperta a febbraio sempre in India e isolata poco più di una settimana fa per la prima volta in Italia, al San Matteo di Pavia.

Questo «viaggio» di oltre tre anni attraverso varianti del coronavirus in competizione tra loro sembra essere arrivato, negli ultimi mesi, a una svolta: "Dall’inizio del 2020, quando il virus che, ora lo sappiamo, circolava già da tempo, si manifestava con implicazioni distruttive sul sistema cardiopolmonare, che non avevo mai incontrato in oltre vent’anni di lavoro, sino alla fine del 2021 abbiamo visto varianti molto aggressive, che diventavano dominanti sulle altre nel giro di qualche settimana".

La prima svolta , spiega il ricercatore, si colloca nella primavera del 2022, "quando hanno iniziato a inserirsi nuove varianti che, nonostante un’adesività alle nostre cellule enormemente superiore alle precedenti, non riuscivano a diventare dominanti o impiegavano molto più tempo per farlo. Anche se, va detto, le risorse messe in campo per tracciare i positivi erano molto inferiori rispetto alle fasi precedenti della pandemia, quindi la stima reale era data, purtroppo, da chi moriva da positivo. E i tassi erano ancora alti fino a qualche mese fa. Ora invece conviviamo con un “brodo“ di varianti del Sars-CoV-2 il cui grado di aggressività sembrerebbe, finalmente, inferiore.

Anche se il dato è “sporcato” dai vaccini". In che senso? " Nel senso che probabilmente le vediamo meno aggressive anche grazie alla protezione dei vaccini: la quarta dose, è vero, l’hanno fatta in pochi, ma gli ultimi dati ci dicono che già un ciclo di tre dosi offre una copertura immunitaria importante. In altre regioni del mondo meno vaccinate non sta andando esattamente così. Per lo stesso motivo è difficile rispondere alla domanda se le varianti della famiglia Omicron siano meno “cattive”: sembrerebbe di sì perché si fermano alle alte vie respiratorie e non arrivano ai polmoni, ma con una campagna vaccinale che ha raggiunto con due o tre dosi almeno l’80% della popolazione non si può escludere che sia la reazione immunitaria a bloccare la progressione del virus".

Un altro fattore “confondente”, continua il professor Angeli, è dato dall’effetto delle misure di contenimento: "Abbiamo imparato a isolarci se scopriamo di essere positivi e a isolare le persone che contraggono il Covid in forma grave – ragiona –, quindi è possibile che anche alla selezione di varianti meno aggressive abbia contribuito l’intervento dell’uomo. Il virus non è stupido, il suo obiettivo è potersi replicare. Ora sulla carta sembra che abbia preso la via dell’endemia; potrebbe estinguersi com’è avvenuto col virus della prima Sars o evolvere diventando come i coronavirus - ne sono stati isolati almeno una trentina - che “governano” i nostri asili. Ma non è ancora quel momento, e mi preoccupa che in questa fase si parli del coronavirus come di qualcosa che non esiste più".

La guerra al Covid, insomma, deve continuare. In laboratorio. "Dobbiamo andare avanti a monitorare le nuove varianti e le persone ospedalizzate, genotipizzando il virus per individuare eventualmente mutazioni che generano sintomi più severi – spiega Angeli –. La speranza è che la situazione stia evolvendo al meglio, ma sarebbe un errore dire che il Covid è “morto”, o che siamo passati dalla pandemia all’endemia. Non siamo ancora a quel punto, dobbiamo continuare a tenere la guardia alta nei prossimi mesi".

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