Milano, 28 febbraio 2024 – Oggi Andrea (nome di fantasia) avrebbe 39 anni. E invece è morto a 13, dopo un calvario innescato da una trasfusione di sangue infetto. Era il marzo del 1998 quando il ragazzino, all’epoca tredicenne, è stato stroncato dall’epatite C. Nei giorni scorsi, a distanza di quasi 26 anni da una tragedia che ha segnato per sempre una famiglia, i giudici del Tribunale amministrativo della Lombardia hanno dato l’ultimatum al Ministero della Salute, obbligandolo a risarcire con quasi 850mila euro i parenti dell’adolescente scomparso. In particolare, il collegio presieduto da Maria Ada Russo ha imposto al Governo di pagare entro 90 giorni; in caso contrario, verrà nominato un commissario ad acta per far sì che i genitori e il fratello del tredicenne ricevano quanto stabilito da un verdetto ormai passato in giudicato ed esecutivo da otto mesi.
La storia clinica di Andrea inizia nel 1989, quando, all’età di appena 4 anni, si ammala di meningite meningococcica. Il bambino viene trasportato in un ospedale lombardo, dove gli viene fatta una trasfusione di cinque sacche di plasma. Un plasma che poi si rivelerà infetto e che provocherà al piccolo un’epatite C, malattia infettiva che colpisce il fegato. Dopo la diagnosi della patologia, all’epoca inguaribile, i medici provano anche la strada del trapianto, ma è tutto inutile: Andrea muore nel marzo del 1998, dopo aver combattuto per nove lunghi anni. A quel punto, parte la battaglia legale dei genitori, che, insieme ad altre famiglie finite nello stesso drammatico tunnel, si rivolgono al Tribunale per vedere riconosciuta la responsabilità del Ministero della Salute per l’omessa vigilanza sul sangue che ha circolato per decenni nelle strutture sanitarie.
Il primo verdetto favorevole arriva nel 2002: i parenti ottengono una pronuncia di condanna generica al risarcimento, primo fondamentale passaggio giuridico per andare avanti con la causa e stabilire se ci sia stato effettivamente un danno e a quanto ammonti. L’iter va avanti, fin quando la legge Finanziaria del 2007 stanzia per la prima volta i fondi da destinare alle transazioni economiche per le persone danneggiate da somministrazione di sangue o emoderivati infetti. La questione riguarda ovviamente anche la famiglia di Andrea, ma un accordo non si raggiungerà mai. La contesa giudiziaria non si ferma, e nel 2017 arriva un’altra sentenza determinante per i genitori del tredicenne: la Corte d’Appello di Roma riconosce il diritto ad avere un risarcimento per quanto subìto. Il successivo procedimento per stabilire il quantum si incardina al Tribunale di Milano, competente per territorio sul Comune in cui risiede la famiglia.
Nel 2023, i giudici della Sezione decima civile condannano il Ministero della Salute a pagare 845.474 euro, così ripartiti: 72.270 euro per il danno patito dal minore deceduto, da ripartire in base alla quota ereditaria tra i genitori e il fratello; 646.080 euro equamente distribuiti tra madre e padre per il danno patito per la morte del figlio; e 127.124 euro all’altro figlio della coppia per la perdita prematura del fratello.
Il 7 giugno dell’anno scorso, il verdetto viene notificato con formula esecutiva al Ministero della Salute, che però non paga il dovuto. Una prassi purtroppo consolidata: "Un malcostume dello Stato, che peraltro non fa che pesare ancor di più sulle casse pubbliche", sottolinea l’avvocato Mario Melillo, che con i colleghi Anton Giulio Lana e Valentina Rao, partner dello studio Lana-Lagostena Bassi-Rosi specializzato in diritto alla salute, assiste e rappresenta la famiglia di Andrea. Ai legali non resta che la strada del ricorso al Tar per ottenere che il Governo rispetti il verdetto passato in giudicato.
Se entro tre mesi non si arriverà al pagamento, entrerà in campo un commissario ad acta, già individuato nel responsabile della Direzione generale della Vigilanza sugli enti e della sicurezza delle cure dello stesso Ministero, con possibilità di delega ad altro dirigente o funzionario del medesimo organismo. Non basta: se i soldi verranno corrisposti in ritardo, scatterà anche una penalità di mora per ogni giorno in più. Secondo una sentenza pronunciata nel 2022 dalla Cassazione a sezioni unite, il Ministero della Salute risponde dei danni provocati da trasfusioni di sangue infetto a partire dal primo gennaio 1968: a fare da spartiacque è la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del 31 luglio 1967 della legge 592/1967 sulla raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano.