Pozzo d'Adda, vivo grazie al trapianto di cuore: incontrerà la madre del donatore

Marzio Cereda, trapiantato di 54 anni, ha ricevuto l'organo da un 21enne di Lecco morto in un incidente stradale

Marzio Cereda

Marzio Cereda

Pozzo d'Adda (Milano), 17 marzo 2019 - Se Marzio Cereda, 54 anni di Pozzo d’Adda, è vivo, lo deve alla generosità e al grande gesto della 47enne lecchese Sarajeva Villa, che ha acconsentito alla donazione degli organi del figlio Alex Crippa, morto a 21 anni lo scorso 24 giugno in seguito a un incidente stradale. Al ragazzo sono stati prelevati cuore, polmoni, reni, fegato e cornee. Il cuore è stato trapiantato proprio al 54enne milanese.

Quando ha saputo che il cuore che le è stato trapiantato è quello di Alex?

«All’inizio della settimana, quando in rete e sui giornali ho letto dell’appello della madre che cercava le persone a cui erano stati donati gli organi del figlio».

È certo che si tratti proprio del cuore di Alex? La donazione è anonima...

«Tutti i dettagli e i particolari tornano e coincidono: il giorno della sua morte, quello del mio intervento, gli organi prelevati, alcuni elementi che già conoscevo, come l’età del mio donatore e il paese dove abitava».

Prima di leggere l’appello della signora Villa, ha mai desiderato conoscere l’identità di chi le ha donato il cuore e soprattutto i suoi familiari che hanno acconsentito alla donazione?

«Sì, l’ho desiderato da subito dopo il trapianto, ma non volevo essere fonte di ulteriore dolore per coloro che avevano già sofferto molto per la scomparsa di una persona cara. Io, del resto, sono il fortunato e il beneficiario di quella che invece per altri è stata una tragedia. Mi sono fatto avanti solo perché a compiere il primo passo è stata la mamma di Alex, altrimenti non mi sarei mai permesso di provare a cercarla».

Ed è contento di aver fatto questo passo?

«Sono più che contento, sono emozionato, commosso ed entusiasta nello stesso tempo. Poter conoscere attraverso le fotografie e i racconti dei suoi genitori il giovane a cui devo la vita è un altro dono immenso che ho ricevuto».

Per ora con la signora Sarajeva Villa vi siete sentiti solo per telefono. Pensa che vi incontrerete anche di persona?

«Certo, ci siamo già messi d’accordo. Devo assolutamente vederla di persona e abbracciarla. Come spesso capita di fare inconsapevolmente a me, porterò la sua mano al mio petto e le farò sentire che il grande cuore del suo Alex batte ancora dentro di me».

Perché ha avuto necessità di un trapianto di cuore?

«Nel gennaio 2018 sono stato colpito da un infarto. Praticavo culturismo e nonostante soffrissi di problemi cardiaci ho voluto ugualmente aumentare sempre di più la mia massa muscolare e diventare sempre più grosso. Non riuscivo a fermarmi. Ma il mio fisico e la mia testa alla fine non hanno retto e il mio cuore mi ha piantato in asso».

Ha avuto paura di morire nell’attesa del trapianto?

«Paura? Ero certo che sarei morto, non speravo più in un trapianto... Per sei mesi mi hanno tenuto in vita solo le macchine e il mio mondo sono stati il San Raffaele e il Niguarda. Eppure, tutto sommato, io ho dovuto aspettare poco: molti trapiantati aspettano che arrivi il loro turno per più di un anno e altri ancora, nell’attesa, muoiono».

Adesso come sta?

«Grazie al cielo bene, anzi grazie al Alex. Ho avuto parecchi problemi nel decorso postoperatorio, l’intervento però è andato bene. Sono testimone dell’eccezionalità professionale e umana di tanti medici, infermieri e sanitari che sono l’anima della nostra sanità pubblica, oltre che di persone fantastiche come Alex e sua mamma Sara».

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