
L’ultima commemorazione in ricordo del giornalista Walter Tobagi, assassinato nel 1980 dai terroristi rossi
Milano, 12 giugno 2025 – La Cassazione mette la parola fine su una vicenda giudiziaria che ha fatto luce su alcuni dei misteri legati all’omicidio di Walter Tobagi, il giornalista assassinato in via Salaino, il 28 maggio 1980, con 5 colpi di pistola esplosi da un commando di terroristi facenti capo alla Brigata XXVIII marzo. Giovani, provenienti da famiglie della borghesia milanese, che attraverso quel “biglietto da visita” puntavano a entrare nelle Brigate Rosse.
Confermando e rendendo definitiva l’assoluzione dell’ex magistrato Guido Salvini, finito sotto processo con l’accusa di diffamazione per aver espresso pubblicamente i suoi dubbi sulla verità ufficiale, evidenzia, sulla stessa linea della Corte d’Appello di Brescia, i fatti che sono “storicamente accertati”: l’esistenza di “più relazioni” redatte dall’allora appuntato dei carabinieri Dario Covolo “sulla base delle informazioni ricevute” da un confidente, Rocco Ricciardi, il “postino di Varese”. E la successiva “sparizione” della maggior parte delle relazioni, circostanza emersa da un’ampia indagine difensiva condotta da Salvini e dai suoi legali, gli avvocati Nicola Brigida e Guido Camera.
Per ricostruire la vicenda bisogna fare un passo indietro, tornare agli Anni di piombo e a una Milano insanguinata dalle azioni dei terroristi, che prendevano di mira anche rappresentanti di quella che ritenevano “stampa di regime”, come il cronista del Corriere Walter Tobagi.
Grazie anche alle rivelazioni di Ricciardi, i carabinieri sapevano che Tobagi era nel mirino dei terroristi. Marco Barbone, figlio di un dirigente della casa editrice Sansoni del gruppo Rcs, arrestato a colpo sicuro dopo il delitto, non era uno sconosciuto. Una prima relazione, che risaliva al 13 dicembre 1979, “era più che sufficiente ad attivare gli operanti su Tobagi che da tempo era un obiettivo “sensibile“”.

Perché non ci fu un intervento? Una risposta è nella strategia del Nucleo antiterrorismo all’epoca guidato dal generale Dalla Chiesa. Lasciare libero il “pesce piccolo”, Barbone e la Brigata XXVIII marzo, per arrivare “al pesce grande, le Brigate Rosse che a Milano erano rappresentate dalla pericolosissima colonna Walter Alasia”, come ha ricostruito la memoria di Salvini.
Una strategia “spesso riuscita” che avrebbe però portato a sottovalutare il rischio che Tobagi stava correndo. Arrestato Barbone e altri membri del gruppo, negli anni successivi al delitto avvenne la scomparsa di relazioni “imbarazzanti” perché in grado di confutare la versione ufficiale, secondo cui Barbone sarebbe stato individuato grazie a una fortunata “illuminazione grafologica“ di un carabiniere. Tornando al presente, Salvini, che nella sua carriera da magistrato si è occupato di terrorismo di destra e di sinistra e ha fatto luce su alcune delle stragi fasciste, nel 2018 definì queste ricostruzioni ufficiali “storielle” e parlò di una “finta indagine”.
Parole espresse durante la presentazione del libro “Vicolo Tobagi“ di Antonello De Stefano nella sede dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Dalla querela per diffamazione presentata da un carabiniere in pensione, Alessandro Ruffino, neanche citato nel discorso, è scaturito un processo approdato fino alla Cassazione, che infine ha confermato l’assoluzione di Salvini rigettando il ricorso coltivato solo da Ruffino, e non dalla Procura generale di Brescia. Per i giudici Salvini esercitò un pieno “diritto di critica”, basandosi su atti e circostanze ormai “storicamente accertate”.
“Con la sentenza della Cassazione, che ha definitivamente verificato sia “l’effettiva esistenza di più relazioni redatte da Covolo sulla base delle informazioni ricevute da Ricciardi” sia “la sparizione delle relazioni, contenenti nominativi di soggetti coinvolti nell’omicidio Tobagi” – spiega Brigida – per un verso è stato restituito l’onore a Covolo, per l’altro è stata confermata la verità dei fatti esposti da Salvini dopo un lungo lavoro di ricerca”.