LAURA LANA
Cronaca

La strage e una comunità in crisi, Paderno chiama il luminare Alberto Pellai: “Alleniamoci a capire la sofferenza”

Il medico, psicoterapeuta e ricercatore, e l’incontro pubblico organizzato in città: “Dobbiamo dotarci degli strumenti per superare le tempeste e rompere l’isolamento dei ragazzi”

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Papà Fabio e Mamma Daniela, uccisi insieme al piccolo Lorenzo di soli 12 anni

Paderno Dugnano (Milano) – Una comunità tutta da allenare e da rieducare. Di “rigenerazione” parla Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore al dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano. “L’obiettivo non è scovare l’eventuale mostro accanto a noi, ma capire quali sono gli ingredienti per una buona crescita e dove ci siamo persi”. È uno dei massimi esperti di educazione alla salute e prevenzione, soprattutto per quanto riguarda i più giovani. Ed è lui che, dopo la strage famigliare del 31 agosto, Paderno Dugnano ha voluto per un incontro pubblico, che si terrà il 29 ottobre e che sarà anche proiettato nelle biblioteche dei comuni che vorranno aderire.

Come nasce questa iniziativa?

“Nasce dalla gravità di quello che è accaduto e dall’impatto che ha avuto sulle famiglie, non solo di Paderno. Abbiamo assistito, come terapeuti, a una reazione collettiva molto forte. I genitori si sono spaventati, ci hanno scritto, chiamato, sollecitato. È come se mancasse una mappa per orientarsi”.

Cosa deve emergere da questo incontro?

“La necessità di rimettere la genitorialità sana al centro del dibattito. Se guardiamo i fatti estremi e ci identifichiamo solo nei fattori di rischio, perdiamo di vista tutti quelli che dobbiamo coltivare e nutrire per una crescita positiva”.

Quali sono le domande sane da farsi?

“Sono essenzialmente tre. Come mantenere viva e vitale l’alleanza, ad esempio tra scuola e famiglia, in un mondo in cui isolamento e conflittualità sono sempre maggiori. Come rigenerare la comunità educante nel suo complesso”.

La seconda?

“Dobbiamo chiederci cosa nutre davvero il progetto educativo al momento giusto: abbiamo perso le tappe, le fasi della crescita. Abbiamo perso attenzione al percorso, che è diverso per ogni bambino. I selezionatori, gli allenatori aiutano a diventare grandi, dando strumenti per superare le tempeste e anche mettendo qualche ostacolo”.

L’ultima domanda?

“Come mai c’è tanta solitudine e la relazione virtuale pesa più di quella reale. Come ristabilire un equilibrio. I bambini di oggi non sono nativi ma natanti digitali: nascono, crescono e vivono in un contesto che è completamente diverso da quello che abbiamo vissuto noi adulti. Non significa che tutti i mali derivano dai social e dal web, ma che dobbiamo farci i conti, essere consapevoli e chiederci cosa i ragazzi si portano nella vita reale”.

Il suo ultimo libro si intitola proprio “Allenare alla vita” (Mondadori). Ma chi è l’allenatore?

“È un adulto, un esperto in relazioni, in procedure e adultità, che è proprio la postura educativa di chi non ha problemi a far fare fatica e modella il potenziale inespresso con un percorso impegnativo. Oggi vediamo genitori troppo protettivi, quando invece il bambino ha bisogno di sperimentare anche il disagio, senza una barriera di protezione”.

È il vizio del secolo: rimuovere il dolore.

“Condivido questa riflessione. Ed è anche quello che abbiamo appreso dalle poche parole di Riccardo, che abbiamo letto sui giornali. Ha provato un dolore profondo e ha tentato di rimuoverlo con un gesto terribile. Ha detto di aver sentito quel dolore “da qualche giorno”, come qualcosa di improvviso arrivato nella sua mente, senza essere in grado di maneggiarlo. Durante l’adolescenza arrivano spesso pensieri problematici, chi non li ha avuti? In questo caso è come se fosse mancata la capacità di collegare una riflessione sulle conseguenze e sui risvolti etici. Un distaccamento dal principio di realtà, arrivato solo un minuto dopo aver compiuto quella tragedia”.

Se sono estraneo a me stesso, mi sento fuori posto ovunque?

“Sì e Riccardo lo ha confermato: si sentiva a disagio a scuola, nello sport, in famiglia, con gli amici. È una sensazione di derealizzazione e depersonalizzazione. Poi dovremmo anche iniziare a chiederci cosa accade nelle relazioni tra pari. Perché soprattutto nei maschi appare compromessa la quantità e qualità della parola”.

Siamo ancora all’uomo che non deve chiedere mai e nascondere le sue fragilità?

“C’è profonda differenza tra maschi e femmine. Soprattutto nei maschi in ritiro sociale – dalla scuola, dalle relazioni, dal mondo – vediamo quanto sia faticoso aiutarli, quanta resistenza ci sia. Da un terapeuta dell’età evolutiva, come sono io, è più frequente che arrivi una ragazza. Quando arriva un ragazzo, solitamente è stato trascinato e viene con la mamma, non con il papà, che magari neanche crede del tutto alla necessità di un percorso di sostegno”.