Milano, "Smart working? Almeno dammi il pc". Scoppia la protesta negli uffici pubblici

I dipendenti del Comune in assemblea: "Attendiamo gli strumenti da due anni". Beffa anche nei Tribunali

Smart working

Smart working

Milano, 30 gennaio 2022 -  Genitori alle prese con scuole "chiuse per Covid", quarantene e contatti stretti, uffici decimati dai contagi. La fiammata invernale della pandemia ha portato a un ritorno allo smart working nel lavoro pubblico e privato. Grattacieli che si svuotano e problemi che restano sul tavolo.

"Sono due anni che sono obbligata a usare il mio vecchio pc portatile per lavorare in smart working", racconta una dipendente del Comune di Milano.  "Ne ho chiesto uno alla Direzione già da marzo 2020 – spiega – ma prima mi hanno detto che la mia richiesta era in coda. Da settembre invece non mi rispondono nemmeno più. Ormai ho perso la speranza. Sta di fatto che un pc costa almeno 400 euro e io ne guadagno 1250". La questione computer è stata al centro di un’assemblea convocata venerdì scorso dai sindacati di base Usi e Cobas di Palazzo Marino. "I computer portatili sono stati consegnati con il contagocce – spiega Stefano Mansi, del sindacato Usi – la maggior parte dei dipendenti in smart working lo ha dovuto acquistare, pagandolo di tasca propria. Lavorare in smart working significa sostenere anche più spese per l’energia e il riscaldamento, che non vengono rimborsate. Oltre al fatto che il buono pasto non viene corrisposto per i giorni di lavoro da casa". Su circa 14mila dipendenti comunali, il bacino di persone che per le loro mansioni possono accedere allo smart working regolato dalla normativa d’emergenza (si è passati da un massimo di otto giorni al mese di lavoro agile agli attuali 62 giorni complessivi su 125 totali da calcolare fino al 30 giugno) è composto da circa cinquemila addetti. In certi settori, come la polizia locale o l’educazione, per ovvi motivi il lavoro non è “remotizzabile“.

La proroga dello stato d’emergenza ha consentito sia ai dipendenti pubblici sia a quelli privati, di ricorrere al lavoro da remoto, derogando ad accordi sindacali o individuali con l’azienda. E la questione computer ha provocato turbolenze anche in altri settori, come la giustizia. I pc portatili, infatti, sono stati tolti ai dipendenti per darli ai giovani giuristi che affiancheranno i magistrati nell’Ufficio del processo, la struttura ritenuta dal ministro Marta Cartabia colonna portante della riforma che si pone l’obiettivo di velocizzare i tempi nei tribunali. Scelta che scatena le proteste di chi quegli strumenti di lavoro se li vede sfilare. "È una decisione che ha delle conseguenze pratiche. Si levano i pc anche ai soggetti fragili che li utilizzavano per lo smart working per evitare gli assembramenti in ufficio", spiega Lino Gallo, segretario della Flp (Federazione lavoratori pubblici)

A decidere di togliere i pc ai ‘vecchi’ per dare ai ‘nuovi’, il cui compito sarà, tra le altre cose, quello di studiare i fascicoli e compiere attività pratiche di facile esecuzione di supporto ai magistrati, è stato il ministero della Giustizia. In un documento di dicembre firmato dalla Direzione Generale di via Arenula viene spiegato che "in vista dell’assunzione di 8.171 addetti per l’Ufficio del processo presso la Cassazione, le Corti d’Appello e i Tribunali, è stata programmata l’acquisizione di personal computer portatili dotati di schermo aggiunto e docking station da assegnare a ogni unità di personale assunto". In base alla legge, l’amministrazione dovrebbe reperirli tramite la Consip. Ma la società “centrale degli acquisti“ della pubblica amministrazione ha fatto sapere di non poterlo fare in "tempi allineati alle necessità". Di qui la decisione di destinare temporaneamente al nuovo personale, che in parte svolgerà il proprio lavoro da casa, i 6236 pc già acquistati in precedenza e, in particolare, i 1935 presi per lo smart working del personale amministrativo.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro