
Il primo semaforo milanese all'incrocio tra piazza Duomo e le vie Orefici e Torino
Milano, 22 maggio 2025 – I semafori spengono 100 candeline. Infatti, nel 2025 ricorrono esattamente cento anni dalla comparsa del primo semaforo italiano, installato a Milano il 1 aprile 1925, in uno degli incroci più centrali e trafficati della città: tra piazza Duomo, via Torino e via Orefici.
E nel centenario del primo semaforo, l’artista e fotografo Matteo Cervone, conosciuto come “Il Fotografo Dei Semafori”, presenta “Semafori. Linguaggio Universale”, un progetto espositivo che trasforma un oggetto di uso comune in protagonista di riflessioni artistiche, sociali e umane. L’esposizione, ospitata presso l’Ex Fornace in via Alzaia Naviglio Pavese 16, con il Patrocinio del Comune di Milano, raccoglie l’intera produzione di Cervone dedicata ai semafori, da anni soggetto privilegiato della sua ricerca visiva.

L’artista
Questi “omini luminosi”, pop e ironici, diventano per l’artista archetipi emotivi, specchi dei nostri comportamenti, custodi urbani delle nostre contraddizioni. “I semafori - afferma Cervone - cambiano colore in base alle nostre emozioni quando passiamo sotto di loro”.
Un linguaggio visivo e universale che, nel suo lavoro, assume valenza poetica e simbolica. La mostra, visitabile dal 18 al 26 maggio 2025, è curata da Rosanna Accordino e accompagnata dalla relazione critica di Federico Caloi. In un percorso che intreccia arte, storia e tecnologia, il visitatore è invitato a riconsiderare il ruolo del semaforo non solo come strumento di regolazione del traffico, ma come elemento narrativo del paesaggio urbano e dell’identità collettiva.
All’epoca, in un contesto urbano ancora poco motorizzato, l’arrivo di questo “marchingegno” generò sorpresa, nervosismo e perfino confusione tra cittadini e vigili urbani, che faticavano a comprenderne il funzionamento. Le prime regole imposte dalla polizia urbana, come camminare solo sui marciapiedi per i pedoni o per le auto non usare la retromarcia per cambiare direzione, risultarono rivoluzionarie per i tempi.
La curiosità
Ma la vera curiosità riguardava i colori: il prototipo milanese prevedeva quattro segnali luminosi: rosso, giallo, verde e bianco. Quest’ultimo, attraverso combinazioni con gli altri colori, regolava il passaggio dei pedoni. La logica dei segnali era complessa: rosso fermava i veicoli ma non autorizzava i pedoni, che potevano attraversare solo con la combinazione rosso-bianco; il giallo indicava via libera per i tram; il verde per auto e motocicli, mentre il giallo-verde dava il via a tutti i veicoli indistintamente. Anche la disposizione dei colori era diversa da quella attuale: il verde stava in alto e il rosso in basso, almeno fino al 1960, anno di riforma del Codice della Strada.

Oggi
Oggi Milano è regolata da oltre 600 semafori, alcuni dei quali intelligenti, a conferma dell’evoluzione tecnologica e comunicativa di un oggetto che, nato per regolare il traffico, è diventato simbolo del nostro tempo. Le sue luci (verde: via libera, giallo: attenzione, rosso: stop) sono entrate nel linguaggio quotidiano come codice universale di comportamento e di significato.
Ospite all’inaugurazione della mostra, Giuseppe Mirarchi, ex Commissario capo della Polizia Locale della Zona 1 di Milano, ha affermato: “Il semaforo da un lato ruba il tempo alla nostra vita ma nello stesso tempo la regola e la difende. C'è tutto un dialogo continuo tra noi e il semaforo sia che si cammini a piedi sia con un veicolo.
È un amico che ti sta accanto e che ti invita a stare attento e a essere prudente. Si potrebbe paragonare a un essere umano di poche parole e che ascolta molto. Quando mi è capitato di dover sostituire un semaforo non funzionante sentivo che era in corso una sfida: farò meglio io o lui? So soltanto che quando veniva riabilitato dalla sua breve “malattia” mi sentivo guarito anch'io e respiravo con più facilità. Poi riprendevo il servizio, non prima di accertarmi che il suo respiro fosse uguale al mio”.