Laura
Volpi*
Milano ha sempre avuto la sensibilità di cogliere il dettaglio lirico della realtà in divenire, anche l’apparentemente minuto, all’interno di un contesto dinamico che vede l’irrompere del nuovo, con tutta la sua straordinaria potenza visiva. Una città interpretabile come luogo d’identità che si ricostruisce in continuo e in cui emerge la fatica del nuovo e la dolcezza del riconoscimento, in un equilibrio spesso fragile e a scapito del preesistente, a tratti soffertamente rimosso per lasciare spazio a idee e progetti innovativi. L’incessante dialogo tra il substrato antico e la contemporaneità è ben presente in Materia, l’opera pittorica dipinta da Umberto Boccioni nel 1912. La figura in primo piano della Grande Madre appare come un’entità imperitura, simbolo della facoltà generatrice primigenia. L’unità plastica della donna è frammentata da elementi del tessuto ambientale che si compenetrano dinamicamente, attraverso un procedimento di elaborazione visiva e mnemonica tra oggetto e spazio circostante. La madre volge le spalle al contesto urbano periferico, punto d’incontro tra natura e civiltà industriale. Oltre il balcone, affacciato su piazza Trento, si alza e sale l’agognata città futurista in rapida trasformazione - così come appare nelle opere precedenti dell’artista, il bellissimo Autoritratto divisionista con il colbacco del 1908, conservato alla Pinacoteca di Brera, Officine a Porta Romana (1909) e infine La città sale o il lavoro (1910-1911) con il suo cavallo rosso fuoco che simbolizza, replicato frammentariamente più volte nella tela, la vertiginosa rapidità di movimento, inteso come energia vitale, dei lavori di scavo per la realizzazione di una vasca di raffreddamento della centrale elettrica. È una città sottoposta alla caducità terrena e che, tuttavia, spinge verso la creazione di nuovi immaginari visuali.
*Docente