MARIANNA VAZZANA
Cronaca

Rapporto Caritas, cresce il “lavoro povero”: in fila per un aiuto chi ha la busta paga troppo magra

Agli sportelli dei servizi diocesani bussano sempre più persone occupate ma che non guadagnano abbastanza: “Bisogna ripensare il welfare”

Rapporto Caritas, crescono i nuovi poveri

Rapporto Caritas, crescono i nuovi poveri

Milano – Nuovi poveri. Anzi, nuove povertà che si espandono in parte nelle forme già emerse: quello che salta subito all’occhio leggendo i numeri del Rapporto ad hoc nella diocesi ambrosiana curato dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Ambrosiana è l’aumento del “lavoro povero”. Tradotto: alle porte di centri d’ascolto e servizi diocesani sparsi nell’area metropolitana di Milano e nelle province di Varese, in parte di Como, Monza-Brianza e Lecco (i dati sono stati raccolti in 140 strutture), bussano sempre più persone occupate ma che non guadagnano abbastanza per provvedere alle necessità quotidiane. Per sé e la famiglia.

Dei quasi 15mila aiutati, oltre 6mila hanno dichiarato di avere dei familiari: significa che la rete di solidarietà ha raggiunto oltre 30mila persone. E tra i gruppi che più soffrono ci sono le famiglie con minori (6.584 bambini e ragazzi, di cui il 33% in età prescolare). Rispetto al 2021, poi, cresce la presenza delle donne (61,4%, +14,5%) e di immigrati (60,9%, in crescita del 12,7%) soprattutto per l’accoglienza in Italia di profughi ucraini. Non a caso, la presenza di ucraini è più che triplicata. In testa, i peruviani.

A rivolgersi alla Caritas sono soprattutto persone tra 35 e 54 anni, "abbiamo avuto un aumento di anziani, che generalmente non si rivolgono a noi, durante il periodo della pandemia, ma ora “l’effetto Covid“ sta rientrando", spiega Elisabetta Larovere, coordinatrice dell’Osservatorio. Andando nel dettaglio, se è vero che tra coloro che chiedono un supporto prevalgono sempre i disoccupati, con il 51,85% del totale, non si può non notare la crescita della fetta degli occupati: 23,3%, valore aumentato del 58,2% negli ultimi sette anni. Perché? Perché anche se il reddito c’è, è insufficiente ad arrivare a fine mese. "Anche perché il potere d’acquisto è diminuito a causa dell’inflazione, che ha superato l’8%", sottolinea ancora Larovere. Questo spiega perché chi accede a un centro d’ascolto sempre meno chiede aiuto per trovare lavoro e sempre più segnala problemi di reddito: nel 2022 lo ha fatto il 69,3% degli utenti, il dato più alto mai registrato in diocesi.

È la normalità per 3 lavoratori part time su 4 e per quasi 2 su 3 occupati full time che si rivolgono alle strutture Caritas; lavoratori con contratti regolari, precari o sottopagati. Tra coloro che arrancano ci sono soprattutto gli “occupati“ nei lavori domestici o nell’assistenza agli anziani. E non è più nemmeno tanto stretta la relazione tra basso titolo di studio e maggiore vulnerabilità: aumenta dell’11% chi chiede aiuto con una qualifica professionale in tasca o una laurea.

Capitolo a parte per le famiglie: più di 6mila hanno dichiarato di vivere in nuclei con più persone, di conseguenza l’aiuto si è esteso a oltre 30mila cittadini. Tanti, i bambini e i ragazzi aiutati: 6.584, di cui il 33% in età pre-scolare. Una famiglia su quattro, poi si regge su un solo genitore che è quasi sempre donna (nel 92,5% dei casi).

Il problema principale è sempre il reddito insufficiente a far fronte alle normali spese quotidiane: l’87,1% delle famiglie con bambini che si rivolgono a Caritas ha problemi di reddito. Non solo: il 18,2% aggiunge le difficoltà abitative dovute a residenze provvisorie, necessità di coabitare con altri, case precarie e poco funzionali. Questo aumenta le disparità tra i piccoli che vivono in contesti difficili e i coetanei che hanno maggiori opportunità.

"Queste sono tutte spie di un disagio diffuso – commenta il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti – da qui escono campanelli d’allarme che consegniamo alle istituzioni: bisogna ripensare al welfare se intere fette di popolazione si rivolgono alla Caritas. Bisogna migliorare le politiche". Cosa serve? "Politiche di superamento del precariato lavorativo e definizione di accettabili minimi salariali". Aggiunge che "uno strumento come il reddito di cittadinanza, senz’altro perfettibile, non va indebolito né depotenziato finanziariamente".

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