Fatma, dalla scuole private americane alla conversione all’islam estremo

Una reazione alla sua mancata integrazione a Milano

Una donna musulmana in una foto generica (Afp)

Una donna musulmana in una foto generica (Afp)

Mialno, 19 luglio 2018 - – E' notte fonda quando dieci agenti della Digos con il viso coperto da un passamontagna arrivano alla porta del palazzone Aler di via Baroni 200. Sono venuti per portare via Fatma. Lei, come ogni notte è al computer a vivere la sua vita virtuale. Li segue, impassibile, come se li aspettasse e se ne va senza salutare i genitori, nemmeno i fratellini. Quella famiglia a lei e al suo nuovo mondo ora è estranea. È il suo ultimo gesto di ribellione ad una vita occidentale che non l’ha mai «ricambiata». Deve essere stato difficile per Fatma passare da una quotidianità agiata a Giza - bella casa, autista, studi alle scuole americane - alla periferia alienante di via Costantino Baroni, estremo sud di Milano. Confrontarsi e scontrarsi con una cultura completamente diversa dalla sua. Quella di Fatma è prima di tutto una storia di non integrazione di una ragazza egiziana alla ricerca di una identità. La trova paradossalmente in una visione portata all’estremo della società islamica, una visione che, nemmeno nella versione più blanda, i suoi genitori avevano condiviso. Fatma arriva Milano nel 2012, a 17 anni. 

Sua madre, che viene da una famiglia egiziana agiata, lascia il primo marito e sposa in seconde nozze un egiziano, già cittadino italiano, ex manager Valtur. Si trasferisce a Milano, famiglia integratissima. La madre e il suo nuovo marito avranno insieme altri tre figli. La situazione economica, però, precipita. Fatma cresce apparentemente serena, continua gli studi. Poi qualcosa si inceppa. Inizia a frequentare amiche italiane e straniere conosciute a scuola. Lei è bella e veste all’occidentale, conosce un ragazzo, si innamora. La storia finirà malissimo e Fatma non riesce a reagire. Riprova a vivere all’occidentale. Affitta un appartamento in viale Monza con due amiche, cerca un lavoro, parla alla perfezione italiano, arabo e inglese. Ma di nuovo non va. Non funziona. Perde il filo, la sua vita così come è non ha più un senso. Al Gratosoglio non fa amicizia con nessuno. Non riesce a socializzare, troppo diversi da lei i ragazzi che abitano in quel dedalo di palazzoni uguali. Non segue la vita di quartiere, a differenza dei fratelli che frequentano moschea e parrocchia, senza distinzione.

Comincia la «regressione» di Fatma che sarà inarrestabile. La ragazza esce raramente. Non ha più contatti con nessuno. Usa solo un computer. Dorme di giorno, poi fino alle cinque del mattino studia la religione islamica, entra in chat con persone che la istruiscono alla jihad, fino a conoscere estremisti con cui comincia a dialogare quotidianamente e a cui chiede di aiutarla ad organizzare un viaggio in Siria per sposare un combattente. Si dice pronta pronta a farsi esplodere, anche a Milano nel caso non riuscisse a raggiungere la Siria: «Ho giurato a Dio di non morire ella terra dei miscredenti», scriveva in chat. È a questo punto che gli agenti della Digos, dopo una segnalazione dell’intelligence che la monitora da mesi, la vanno a prendere nella sua casa di via Baroni. La fermano prima che sia troppo tardi. È notte fonda, la portano in questura, piange, comincia il lungo racconto. 

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