"Presidio di Cremona pieno di milanesi"

Crema e Cremona, insieme alla Bergamasca e al Lodigiano, sono state le prime terre lombarde e le più duramente colpite dalla prima ondata di coronavirus. All’epoca il pronto soccorso dell’ospedale pubblico di Cremona, come altri sul fronte, era travolto anche da cento malati gravi ogni giorno; e da Cremona i pazienti Covid venivano trasferiti (sette, dieci, a volte venti in un giorno) nei reparti e nelle terapie intensive di altri presidi lombardi più “liberi“. Così, ancor prima che la Regione dirottasse su Cremona e Crema l’aiuto offerto dagli evangelici americani e dai cubani per aprire strutture da campo, gli ospedali milanesi, come quelli di altre province meno travolte dai contagi, ridussero le prestazioni non Covid e si riempirono di cremonesi, oltre che di lodigiani e di bergamaschi.

Ieri il sindaco di Cremona Gianluca Galimberti ha sottolineato che la Regione "ha chiesto di rendere disponibili posti letto per pazienti Covid" all’ospedale pubblico di Cremona (sin da giugno individuato tra i 18 “Covid hub“, sette dei quali localizzati tra Milano e provincia), "che in queste ore si stanno riempiendo con pazienti che arrivano in particolare da Milano e non ci sono segnali per dire che la situazione non peggiorerà ancora". A quanto risulta al Giorno, sette dei nuovi ricoverati nei reparti Covid ieri sono andati all’Asst di Crema, mentre a Cremona ci sono 5 pazienti in terapia intensiva. Secondo il primo cittadino, "ancora una volta, come è accaduto a febbraio-marzo, la nostra città e l’ospedale pubblico di Cremona si mettono a disposizione per altri territori. Abbiamo pagato un prezzo altissimo, il più alto di tutti gli altri territori in Italia. Non ci sottraiamo alla necessaria solidarietà", ha chiarito Galimberti.

E però "è da marzo di quest’anno che questa città e questo territorio non hanno prestazioni sanitarie essenziali e cittadini cremonesi devono rivolgersi ad altre strutture, spesso private o in altre città. Non tutti possono permettersi di pagare e ed è anche profondamente ingiusto". Giulia Bonezzi

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