
Il modellino d'epoca dello stabilimento Plasmon di Milano
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Milano, 9 febbraio 2021 - Un patrimonio conteso da 15 milioni di euro. La guerra legale tra la seconda moglie del ricchissimo defunto e due dei suoi sette figli. E un conflitto giuridico in materia di successione che si trascina da più di vent’anni e che venerdì scorso è stato (quasi) risolto dalla Cassazione con l’indicazione di dividere in due tronconi l’eredità da spartire.
Sono gli ingredienti della storia che ruota attorno alla figura di Oscar Alfred Pio, storico manager della Plasmon, società arrivata in Italia nel 1902 grazie al medico Cesare Scotti e che, dopo aver acquisito dall’Inghilterra il brevetto del prodotto a base di latte in polvere, iniziò a commercializzare i prodotti che ancora oggi troviamo nei supermercati (dai biscotti agli omogeneizzati) con il celebre marchio nel frattempo acquisito dalla multinazionale Kraft. Pio, dirigente nativo di Londra che nel 1966 fu anche incaricato dal Cda dell’azienda di stipulare una convenzione con la Statale per finanziare l’assunzione di un professore di Puericultura, fa testamento nella capitale inglese il 19 ottobre 1997, lasciando 50mila sterline all’allora compagna Ornella Bertoni e il resto dei suoi averi (un podere con villa padronale nella fiorentina Scandicci, due appartamenti a Porto Ercole, un terreno, opere d’arte e depositi bancari) ai sette figli Roberto Cesare, Julian, Adrian Americo, Isabella Isme, Rosalynd Carola, Cristopher e Camilla Dorothea.
Il 19 dicembre 1999, Mister Plasmon muore a Milano all’età di 85 anni, 55 giorni dopo aver sposato in seconde nozze Bertoni. Ed è proprio la donna a far partire la causa, ritenendo che la successione debba essere disciplinata dal diritto inglese (nazionalità del marito) e in particolare dal Wills Act, una legge di Sua Maestà datata 1837 che stabilisce che il testamento va revocato nel caso in cui il firmatario abbia successivamente contratto matrimonio. I figli di Pio non sono d’accordo e si costituiscono in giudizio, anche se nel 2002 cinque di loro escono di scena dopo aver ceduto le loro quote ai fratelli Roberto Cesare e Julian, al termine di una seduta-maratona di 13 ore nello studio di due notai poi accusati di truffa (e prescritti) per non aver informato i futuri acquirenti del casale di Scandicci della causa in corso. Nel 2009, il Tribunale di Milano dà ragione alla vedova: testamento revocato, a lei vanno tutti i beni mobili di Pio e un terzo degli immobili italiani (sotto forma di conguaglio da 2,288 milioni che Roberto Cesare e Julian dovranno versarle). Nel 2014, arriva la conferma in secondo grado.
E arriviamo alla sentenza dei giudici della Cassazione civile, chiamati a esprimersi sui diversi quesiti sollevati dalla vicenda. Due su tutti: valgono le leggi italiane o quelle inglesi? Il testamento è valido? Nel rinviare a un’altra sezione della Corte d’Appello per una nuova decisione nel merito, gli ermellini hanno dato le linee guida, a valle di una lunga e complessa disamina delle leggi che regolano il diritto internazionale privato: in assenza di una dichiarazione chiara del testatore sulla legge da applicare alla successione (e in deroga ai principi-cardine dell’unità e dell’universalità dell’eredità), i beni mobili devono sottostare alle regole del Paese di origine di Pio (Inghilterra), mentre su quelli immobili bisogna utilizzare la legge italiana. Vale la regola latina: «Mobilia personam sequuntur, immobilia vero territorium».