Pioltello, maxi-sequestro al boss Manno: ecco le 'famiglie' finite nel mirino

Requisito un tesoretto immobiliare del valore di 3 milioni di euro

Carabinieri

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Milano, 6 giugno 2019 - Smantellato l’ultimo pezzo della storia criminale di Pioltello, un tesoretto immobiliare da 3 milioni di euro della ‘ndrangheta pioltellese è finito sotto sequestro. La magistratura ha messo i sigilli alle proprietà di del cinquantottenne Francesco Manno, capo della locale di Pioltello, ora detenuto nel carcere di Opera per un cumulo pene di 13 anni e sei mesi. Un patrimonio importante, fra i quartieri di Limito e Seggiano.

Una villa di otto stanze per oltre 200 metri quadrati, un appartamento di sette vani con terrazzo e box, una tavola calda e un bar. Chiuso perfino l’asilo nido di via Donatello, i cui locali erano di proprietà di Manno, con una gestione estranea ai fatti. «È un bel segnale del lavoro svolto dalla Magistratura – commenta il vicesindaco di Pioltello, Saimon Gaiotto –, con questo sequestro si chiude un capitolo buio della nostra città: la Pioltello degli anni ’80 e ’90, un pezzo di storia che non ci appartiene più. Sono sodisfatto, ma consapevole che non bisogna mai abbassare la guardia». Un colpo all’organizzazione criminale locale, che proprio da Pioltello - e questo era già emerso dal dossier della storica operazione Infinito, che nel 2011 aveva portato ad una carrellata di arresti - controllavano un traffico illecito legato alle armi e alle slot machine. L’ultimo rigurgito di malaffare risale a un anno e mezzo fa, quando il nipote di Manno - il 27enne Roberto Manno - era stato arrestato con l’accusa estorsione e usura. Le indagini erano partite dall’esplosione di una palazzina di Limito: un ordigno fatto brillare sul pianerottolo di una casa popolare per punire una famiglia ecuadoriana per un debito di 20mila euro salito a 32mila nel giro di pochi mesi. 

Indebolire organizzazioni criminali colpendole nel patrimonio. Le operazioni antimafia degli ultimi anni seguono due strade: gli arresti, di quelli che ormai sono figli e nipoti di vecchi boss condannati al carcere a vita, e i sequestri dei beni, per smantellarne il potere economico. Operazioni che mettono in luce due aspetti: la ‘ndrangheta è ancora presente, ben radicata a Milano e nell’hinterland, ed è ancora potente, con riserve economiche che sembrano illimitate. Il sequestro di beni per oltre tre milioni di euro a Francesco Manno, boss della locale di Pioltello, aggiunge un altro tassello all’obiettivo. Nel 2017 a essere colpito nel patrimonio era stato Giuseppe Grillo, genero dell’ergastolano Antonio Papalia, a cui erano stati sequestrati a Buccinasco beni per oltre 400mila euro (una villa, box, conti correnti).

Due famiglie, quella dei Manno a Pioltello e dei Papalia a Buccinasco inserite nella più ampia geografia della ‘ndrangheta che ancora vive e regna tra Milano e hinterland. La cosca dei Papalia, insieme ai Barbaro, entrambi di Platì (Reggio Calabria), legati da rapporti di sangue e affari, sono considerati la più potente del Sud Milano dove, tra Corsico e Buccinasco e con decine di affiliati di altre famiglie come i Sergi e i Perre, hanno imbastito traffici di droga e armi, intercettati dalle ultime operazioni dei carabinieri che hanno portato in carcere figli e nipoti dei boss. Narcos professionisti, come gli esponenti della famiglia Gualtieri a Sesto San Giovanni e Cologno Monzese, territori già presidiati dalla ‘ndrina dei Paparo, originari di Isola Capo Rizzuto.

Cellule criminali locali usate come «camere di controllo in collegamento con la casa madre reggina», come ha messo in evidenza l’ultimo rapporto della Dia. La geografia criminale delineata dal rapporto passa anche da Bareggio, con i Musitano di Platì, anche loro capaci di spostare montagne di cocaina dal Sud America alle porte di Milano. Andando su, verso la provincia a nord di Milano, si trova Antonino Lamarmore, capo della locale di Limbiate e Cormano. E poi c’è il centro, Milano, dove i Morabito si dividono spazi (e piazze) con i Piromalli di Gioia Tauro, la potentissima cosca i cui segreti stanno emergendo dalle dichiarazioni del pentito Francesco Trunfio, ex soldato del clan che controllava il business del marcato ortofrutticolo di Milano.Francesca Grillo

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