Omicidio nel box: confermati tre ergastoli

Cernusco, La Grassa con due complici uccise Carbone dopo una lite scoppiata per motivi legati a debiti di usura: 11 i colpi sparati

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MILANO

di Anna Giorgi

E sarà ergastolo per tutti e tre gli imputati dell’omicidio di Donato Carbone, il 63enne ucciso con otto colpi di pistola in un agguato armato il 16 ottobre del 2019 che si è cosumato a Cernusco sul Naviglio. La corte d’Assise di appello, presieduta da Ivana Caputo, ha confermato la sentenza di primo grado del 15 giugno 2021 della corte d’Assise nei confronti di Leonardo La Grassa, 72 anni, e Edoardo Sabbatino, 61 anni, rispettivamente mandante ed esecutore materiale dell’omicidio, e Giuseppe Del Bravo, 41enne, perché avrebbe avuto un pieno coinvolgimento nel delitto, in particolare facendo da tramite tra La Grassa e Sabbatino. Confermato anche nei confronti della figlia di Carbone, parte civile nel processo, il riconoscimento di un risarcimento simbolico di un euro.

Gli investigatori avevano identificato i colpevoli con un’indagine tradizionale, intercettazioni e telecamere.

Fino al momento in cui dai filmati avevano individuato Sabbatino con una felpa a righe.

Due le pistole usate: una Makarov 9x18 clandestina estratta dopo che l’altra, una Beretta 9x21 con matricola abrasa, si era inceppata al terzo colpo nei sotterranei della palazzina in via don Milani 17. All’inizio gli 11 bossoli trovati a terra avevano fatto pensare a un agguato mafioso.

A innescare la vendetta, invece, si scoprì che era un debito in sospeso tra la vittima e l’ex boss, che si conoscevano da anni.

Sullo sfondo, il mondo degli usurai. A conferma che si trattava di questo le parole di Angela Carbone poche ore dopo la morte del padre: "Adesso sai quanti stanno festeggiando?

I debiti svaniscono nel momento in cui il creditore non c’è più". Un giro di assegni in bianco firmati, ritrovati nell’appartamento di famiglia, avevano fatto crollare l’immagine dell’uomo senza macchia tratteggiata dai vicini di casa e da quanto lo conoscevano. La Grassa aveva poi chiesto i domiciliari per motivi di salute. Intercettato in cella, aveva confessato a un compagno che “al primo permesso” sarebbe fuggito “in Spagna”.

Così oggi non lo potrà più fare.

Gli avvocati avevano chiesto per lui l’assoluzione e la cancellazione dell’aggravante della premeditazione.

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