No al congedo, Ats condannata per discriminazione

Permesso negato a una dipendente, madre di un bimbo avuto dalla compagna con la fecondazione assistita. Arriva il risarcimento

Migration

di Nicola Palma

"Data l’evidenza documentale di un legame genitoriale tra la ricorrente" e il minore, "nella sua veste di datore di lavoro, Ats avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto dell’attestazione fornita e a riconoscere il congedo parentale richiesto, senza entrare nel merito del diritto alla genitorialità". È la motivazione alla base dell’ordinanza con la quale il giudice del lavoro Riccardo Atanasio ha dichiarato la "natura discriminatoria della condotta" tenuta dall’Agenzia di tutela della salute Milano Città metropolitana nei confronti di una dipendente.

La storia inizia nel marzo scorso, a emergenza Covid appena iniziata. La donna, operatrice tecnica a tempo indeterminato, chiede un mese di congedo parentale: è unita civilmente con la compagna, ed entrambe sono madri, con riconoscimento del nascituro davanti all’Ufficiale di Stato civile del Comune, di un bambino concepito in Spagna con la procreazione medicalmente assistita. Ats nega il permesso, "facendo valere – la difesa in giudizio – l’incertezza del contesto normativo con riferimento al tema della genitorialità delle coppie omosessuali". A quel punto, la dipendente, che nel corso della pandemia si è alternata con la compagna nella cura del figlio (non potendo contare sui nonni, “protetti“ dal rischio contagio con l’interruzione dei contatti fisici), opta per l’aspettativa, riconosciuta da Ats dal 14 aprile al 15 maggio, e decide di rivolgersi al giudice del lavoro, assistita dall’avvocato Valentina Pontillo di Rete Lenford, per ottenere "la dichiarazione della natura discriminatoria del mancato riconoscimento del congedo parentale". Nei giorni scorsi, è arrivato il verdetto, che ha accolto le istanze della donna. Al di là dei ragionamenti sul "vuoto normativo" e sulle pronunce della Corte Costituzionale, il Tribunale si è concentrato su due fatti. Il primo: non vi è dubbio sul legame genitoriale tra la donna e il bambino. Il secondo: ciò è certificato dalla documentazione anagrafica.

Di conseguenza, ha sottolineato Atanasio, Ats non avrebbe dovuto entrare nel merito "del diritto alla genitorialità", bensì prendere atto della situazione e concedere il congedo parentale; come peraltro sancito pure dall’Inps, a cui la donna si rivolse per un parere prima di sottoporre la richiesta al datore di lavoro. "D’altronde – ha aggiunto il giudice –, a fronte di analoga documentazione fornita da parte di un genitore eterosessuale, non lo avrebbe certo fatto: ergo la natura discriminatoria del suo comportamento". Un tipo di discriminazione "diretta", che viene riscontrata quando "per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga". Conclusione: Ats dovrà cessare tale condotta e versare alla dipendente 1.707,27 euro, l’ammontare delle trattenute per l’aspettativa non retribuita.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro