Morto al San Paolo Raffaele Ganci fedelissimo del capo dei capi Riina

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È stato a lungo uno dei fedelissimi di Salvatore Riina, che una volta disse: "Ho la Noce nel cuore". Già, proprio il rione di Palermo comandato dal boss Raffaele Ganci, deceduto ieri a 90 anni in una stanza del San Paolo, dov’era stato trasferito ad aprile nel reparto ad hoc per detenuti per l’aggravamento delle sue condizioni di salute. Esattamente la stessa fine del capo dei capi, morto cinque anni fa nell’ospedale di Parma. Ganci come Riina era al 41-bis, a scontare diversi ergastoli. E come Riina si è portato nella tomba i segreti della mafia: è rimasto un irriducibile fino all’ultimo, senza mai rivelare nulla sulla Cupola di cui è stato uno dei componenti più influenti. Anzi, è arrivato a rinnegare il figlio prediletto Calogero, che nel 1996 decise di collaborare con la giustizia e di confessare un centinaio di omicidi. A cominciare da quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, della moglie Emanuela Setti Carraro e dell’agente di scorta Domenico Russo: indagini e processi hanno stabilito che nel gruppo di fuoco che agì in via Carini la sera del 3 settembre 1982 c’era anche Ganci junior, alla guida della Bmw 518 da cui partì la raffica di Ak-47 sparata da Antonino Madonia. Dopo l’omicidio, entrò in scena Raffaele Ganci, alla guida di una delle tre auto che portarono via i killer dal luogo in cui furono date alle fiamme l’auto e la Honda usate per la strage.

Legato a doppio filo al clan dei Corleonesi, è stato giudicato colpevole pure dell’omicidio di Mario Francese, il cronista del Giornale di Sicilia ucciso da Leoluca Bagarella su mandato di Riina il 26 gennaio 1979. Tre anni dopo, nel 1982, Ganci divenne il capo del mandamento della Noce dopo l’assassinio del predecessore Salvatore Scaglione, attirato in un agguato da Michele Greco in una villetta di San Giuseppe Jato e ucciso da Riina e Giovanni Brusca. Membro della Commissione provinciale di Cosa Nostra negli anni Novanta, votò a favore delle stragi di Capaci e via D’Amelio, costate la vita ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, a Francesca Morvillo e a otto agenti di scorta. Fu arrestato il 10 giugno 1993 a Terrasini, dopo cinque anni di latitanza.

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