
Milano – Hanno avuto un atteggiamento di “arrogante invadenza” e “prepotente, volto a degradare la figura di una giovane ragazza, considerata, in una logica di branco quasi una preda da ghermire” e bersagliare con ripetuti “commenti retrivi” e “avance e insulti di natura sessuale” i tre militari dell'Esercito - uno ha poi lasciato la divisa - condannati lo scorso aprile a Milano a un mese di reclusione, con pena sospesa e non menzione, al termine di uno dei primi processi celebrati in Italia per catcalling, ossia molestie verbali rivolte per strada o in un luogo pubblico.
Lo scrive il giudice Luigi Fuda nella motivazioni della sentenza, con cui ha disposto anche tremila euro di risarcimento, depositato nelle scorse settimane e con le quali ha aderito “all'orientamento giurisprudenziale consolidato”: ha riconosciuto i tre colpevoli del reato di molestie o disturbo alle persone (art. 660 cp) in “concorso (...) anche morale, essendo evidente che (...) si sono incoraggiati a vicenda, contribuendo così, ciascuno per la sua parte, a rafforzare la determinazione criminosa”.
Secondo l'accusa il 22 marzo 2021, tra le 16 e le 20, i tre militari allora addetti all'operazione 'Strade sicure’ ma in quel momento fuori servizio, mentre si trovavano in un bar a bere birra, avrebbero preso di mira una studentessa di 19 anni che passava di lì in quanto abita nel palazzo di fronte al locale. Per tre volte si sono rivolti a lei con espressioni pesanti e con insulti “gravemente volgari e gratuitamente offensivi” fino ad arrivare a “velate minacce”, si legge nell'atto, con un comportamento che “può essere definito come petulante” e che “ha certamente recato disturbo” alla ragazza e inciso “negativamente sul suo stato psichico”, costringendola a cambiare il percorso per rientrare a casa e, successivamente, quando ha dovuto uscire nuovamente per portare fuori il cane, anche i vestiti nella speranza di non essere riconosciuta.
Inoltre, ha osservato il magistrato, “non vi sono ragioni per concedere agli imputati le attenuanti generiche, al di là del mero dato formale dell'incensuratezza, non avendo manifestato alcun elemento" di ravvedimento, sia nell'immediatezza quando hanno discusso con i genitori della 19enne accorsi per aiutarla, sia durante il dibattimento.