Milano, Liliana Segre: "L’odio in rete? Sono di più quelli che mi amano"

L’intervento alla Cattolica sugli hater: "Il loro numero non mi preoccupa. Una regolamentazione serve, ma è complessa"

Lilana Segre all'Università Cattolica di Milano

Lilana Segre all'Università Cattolica di Milano

Milano, 14 febbraio 2020 - Liliana Segre ha incontrato ieri pomeriggio una settantina di insegnanti delle superiori all’università Cattolica. L’ateneo l’ha invitata per parlare di «discorsi d’odio ai tempi della rete». Un tema che Segre, purtroppo, conosce bene. Non bastava l’orrore di Auschwitz-Birkenau dove fu deportata a 13 anni. O la morte nel lager del padre e dei suoi nonni. La senatrice a vita, dal 7 novembre scorso, è costretta a vivere sotto scorta per le minacce di morte ricevute via social. Messaggi ingiuriosi come quelli letti di fronte alla platea proprio dalla Segre a cui sono stati riferiti: «“Vecchia schifosa, quando smetterai di raccontare la tua bugia”. Settantacinque anni dopo, alla faccia dei documentari e delle testimonianze, è molto più bello o forse più comodo pensare che non fosse vero Auschwitz. Mi hanno riferito anche che mi augurano di morire. Per una che ha 90 anni non è una pensata così originale. I miei amici napoletani che mi dicono che più mi ricevo questi “auguri” più vivrò a lungo…».

Riceve ancora duecento tra insulti e minacce ogni giorno sul web? «Non mi preoccupo del loro numero. Ho talmente tanta gente che mi scrive, che mi incontra per strada, che mi manda messaggi d’amore che dico pazienza se ci sono duecento persone che non mi vogliono bene. Sono molte di più quelle che me ne vogliono».

La rete non avrebbe bisogno di essere regolamentata? «Ma è molto difficile. Non è semplice individuare la provenienza del messaggio di odio».

Un’insegnante di una scuola media di Coverciano il 27 gennaio, Giorno della Memoria, ha detto che lei cerca “pubblicità“.  «Io la pubblicità non la faccio a niente e a nessuno. E i diritti d’autore dei miei libri finiscono all’Opera San Francesco. Penso che questa signora non si sia informata. Mi dispiacerebbe molto però se perdesse il suo posto. Sarebbe meglio se dicesse ai suoi ragazzi di aver sbagliato ma rimanesse a scuola». 

A scuola c’è l’emergenza bullismo. Che fare? «Quando i miei figli erano piccoli gli episodi erano molto rari, oggi è un fenomeno sociale. Noto che l’azione del bullo è definita una ragazzata. Io penso che dovrebbe essere curato». 

Che ricordo ha dei suoi anni da liceale? «Quando sono tornata miracolosamente viva a Milano, a 15 anni, avevo perso 3 anni di scuola. Mi sono ritirata nella cameretta dei miei nonni e feci cinque anni in uno per presentarmi da privatista all’esame di quinta ginnasio. Al liceo c’era incomprensione coi miei insegnanti e compagni. In un tema su Dante, fui l’unica a scrivere di capire il Conte Ugolino: quando si ha fame, si può fare qualunque cosa. Fu uno scandalo. Capii allora che dovevo tacere, che dovevo metabolizzare da sola la perdita dei diritti, della dignità, i lutti. Mi sono rinchiusa nel silenzio dai 15 ai 60 anni. Poi, da nonna, ho capito che era il momento di avvicinare i ragazzi. Degli adolescenti si parla come se avessero solo bisogno di aiuto invece sono fortissimi: c’è in loro la potenza eccezionale del cuore e dell’intelligenza».

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