
di Grazia Lissi
Una vita dedicata alla medicina e una passione recondita per Leonardo. Gian Vico Melzi d’Eril racconta: "Nella nostra casa, a Vaprio d’Adda, era di famiglia. Lì per decenni sono stati conservati la maggior parte degli scritti e dei disegni di Leonardo da Vinci prima della dispersione". Autore di “In casa con Leonardo” (Francesco Brioschi Editore), Melzi si è laureato in Chimica e Medicina, ha intrapreso la carriera ospedaliera poi quella universitaria; è stato docente di Biochimica clinica all’Università degli Studi Milano. Con ironica saggezza continua: "Alle elementari mi chiesero di parlare di Francesco Melzi, si riferivano al vice presidente della Repubblica Italiana (1802-05). Io parlai dell’altro Francesco, l’allievo prediletto di Leonardo. Spiegai ciò che avevo appreso da papà".
Cos’ha significato ereditare un cognome importante?
"Fino alle medie sono stato preso in giro dai compagni. Non ne capivo la ragione, avrei voluto essere come loro. Poi ho capito che il cognome è qualcosa di mio: ognuno ha la sua storia, per alcuni è scritta su tanti pezzi di carta, per altri meno. All’università l’attenzione è al fare, a come uno si comporta. Oggi se dico il mio nome in un ufficio milanese nessuno batte ciglio, in provincia noto un certo stupore. Certo che chiamarsi Gian Vico non aiuta, per questo nostro figlio si chiama Carlo".
Come le è stato raccontato Leonardo?
"La nostra casa è sopra l’Adda, vicino scorre il Naviglio; quando arrivavano ospiti visitavano la villa con mio padre, io li seguivo. Tutti volevano vedere l’affresco “Madonna con Bambino“ detta Madonnone per le dimensioni, che testimonia la presenza fisica di Leonardo nella nostra dimora, il suo rapporto con Francesco Melzi, con suo padre Gerolamo e, forse, con Bartolomeo, il nonno. Il dipinto è considerato “leonardesco” ma una mano particolare l’ha rifinito. Davamo per scontato convivere con Leonardo, molte ricerche le ho fatte recentemente. Di molti documenti del Maestro si è persa la traccia dopo la morte di Francesco avvenuta nel 1567". Come ha iniziato le ricerche su da Vinci?
"Da bambino mi dicevano: “Vai ad aprire le finestre così il Madonnone prende aria”. L’affresco, non terminato, è tagliato dal pavimento della galleria, costruita in epoca posteriore, come il portico; quando avevo 22 anni i miei fecero fare dei lavori per scoprire quale altra presenza dell’autore vigesse nella casa. Così ho iniziato a studiarlo".
Dei tanti ricordi milanesi quale conserva maggiormente?
"Gli anni universitari, ero professore ordinario con l’incarico di dirigere il laboratorio di analisi dell’ospedale San Paolo; con me c’erano persone di spessore, grandi possibilità per la ricerca. All’inizio l’esperienza ospedaliera è stata buona, poi con i tagli alla sanità pubblica, a quella territoriale, tutto è diventato difficile e siamo andati incontro al disastro vissuto quest’anno".