Coronavirus, la figlia della diva Leona Laviscount: mia madre contagiata, ma non so nulla

L’appello di Lyn Jegher, figlia della famosa artista afroamericana ospite nella Rsa Famagosta

Un’immagine di repertorio di Leona Laviscount

Un’immagine di repertorio di Leona Laviscount

Milano, 12 aprile 2020 - Quella di Leona Laviscount, ballerina, cantante e performer afroamericana ottantenne, è stata una vita sotto i riflettori. Ma le luci della ribalta ora sembrano lontanissime: è in un letto della Rsa Famagosta di via Di Rudinì 3 "in un’ala isolata - spiega la figlia Lyn Jegher - e non riesco a sentirla né a vederla da oltre un mese. È trattata come paziente affetta da Covid ma il tampone non è stato effettuato. Nessuno me la passa al telefono, in videochiamata, e io sono molto preoccupata per lei". Quindi lancia un appello dalle pagine del Giorno: "Vorrei vederla, anche solo attraverso uno schermo, e pretendo il tampone".

Saperla immobile in un letto non le dà pace. "È in questa casa di riposo (comunale, gestita da Nuova Assistenza società cooperativa onlus, che ha in totale 285 posti letto, ndr ) da 5 anni ma nonostante i problemi dell’età era piena di iniziative, continuava a cantare con l’aiuto di una musicoterapeuta". Le luci della ribalta l’hanno accompagnata da New York, dov’è nata e dove è diventata una stella del palcoscenico guidata dal "mostro sacro" del jazz Cab Calloway, prima donna afroamericana a frequentare la School of performing arts di NY, fino a Milano, dov’è approdata negli anni Settanta dopo aver partecipato a diversi tour mondiali. Ha collaborato con Adriano Celentano (è nel cast di Yuppi Du), Roberto Vecchioni, Loredana Bertè, Giuni Russo, Walter Chiari, Totò e Mario Biondi, e tre anni fa ha riabbracciato la "collega" Norma Miller, la regina dello Swing, con cui aveva lavorato allo Spirit de Milan. In passato ha pure fondato il coro gospel Golden Lights.

"Ora è sola, non mi vede né mi sente da un mese. Io la immagino spaesata e spaventata - evidenzia la figlia -, al telefono implorava che andassi a trovarla, l’ultima volta che l’ho sentita. La situazione è sfuggita di mano: non sono stati effettuati i tamponi al personale medico e agli operatori, che di conseguenza, temo, hanno veicolato il virus da un piano all’altro. Non so da quanto tempo mia madre sia stata messa in isolamento, mi è stato detto che ha una flebo e che non mangia autonomamente. Dalla struttura dicono di aver chiesto i tamponi alla Regione ma è un continuo scaricabarile. Ho mandato mail alle autorità, mi sono rivolta al comitato dei parenti della struttura ma finora non è cambiato nulla: mi sento impotente, posso solo stare a casa e lanciare appelli". La rabbia aumenta, "sia perché sono tornata apposta da New York per starle vicino e non posso vederla", ma soprattutto perché "mia madre è stata una delle prime artiste afroamericane a scegliere Milano come sua città. Meriterebbe di essere trattata diversamente, ha dato il suo cuore a questo paese".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro