Anna
Mangiarotti
Milano e l’antisemitismo. Questione di responsabilità politica, da verificare nelle carte. Eccezionalmente esposte fino al 15 dicembre, e oggi spiegate durante le visite al Memoriale della Shoah (piazza Safra), all’interno della Stazione Centrale, dove manovravano i carri bestiame che deportarono nei campi di sterminio, tra dicembre 1943 e gennaio 1945, gli ebrei arrestati in città, applicando tali carte. Solo a Milano “sorprendentemente” rinvenute nel 2007, negli interrati di via Larga, sede dell’Ufficio Anagrafe: documentano lo speciale censimento ordinato su scala nazionale il 22 agosto 1938 (poco dopo la visita di Hitler in Italia) dalla direzione Demorazza, con velina rosa. Accertata la consistenza numerica della presenza ebraica, si sarebbe avviata la burocratica macchina persecutoria.
Attraverso i prefetti e i podestà, il censimento è attuato con meccanismi di denunce e autodenunce, e inviando nelle case poliziotti che si spacciano per ufficiali dell’anagrafe. "Una registrazione condotta in maniera poco italiana, con estremo scrupolo", commenta Francesco Martelli, direttore della Cittadella degli Archivi del Comune, mostrando le carte qui custodite. Elencano i 10.596 censiti (3.788 nuclei familiari) tra 1938 e 1944; 3.818 gli stranieri (specie dall’Europa orientale) e 6.531 di nazionalità italiana; 350 i deportati; ne ritornano 44, con Liliana Segre. L’invito della senatrice a “fare memoria”, senza retorica, è stato accolto dall’assessora ai Servizi Civici Gaia Romani, che per il secondo anno dispone di mostrare nel Memoriale i fascicoli: "Segno tangibile di una verità che non può e non deve essere cancellata". In questi giorni, dal Fondo Israeliti si estraggono i fogli relativi alla famiglia Shapira, importanti industriali, alla quale appartiene la madre del presidente del Memoriale, Roberto Jarach: "Riuscimmo a fuggire in Svizzera, io sono nato a Lugano nel 1944" ricorda. Diversa la sorte del dottor Gino Emanuele Neppi, nome che non compare nel censimento, ma in una pietra d’inciampo a lui dedicata in via Boscovich: medico di Riparto fino al gennaio ’39, dispensato dal servizio e internato in un campo polacco, dichiarato morto presunto l’8 dicembre 1943. La battaglia legale intrapresa dalla moglie per il trattamento pensionistico è segnalata dal direttore Martelli. Che dal lavoro di ricerca sui censiti fa emergere altre storie. Ernesto Reinach, fondatore della Oleoblitz, a 88 anni muore sul treno per Auschwitz, dove arrivano la figlia Etta, il genero Ugo De Bendetti e il loro figlioletto Piero di 11 anni, che non torneranno. Alessandro Rimini, progettista del primo grattacielo d’Italia, la Torre Snia Viscosa di piazza San Babila, e di altre architetture meneghine su cui i colleghi di razza ariana potranno apporre il nome, rinuncia al salvacondotto della Metro Goldwin Mayer per gli Stati Uniti non volendo lasciare la madre malata; arrestato dalle SS, torturato a San Vittore, con un escamotage sfugge alla deportazione. Citato da Gianni Biondillo in “Quello che noi non siamo” (Guanda), presentato lunedì 4 dicembre, alle 18, al Memoriale della Shoah, è tra gli architetti ebrei depennati dall’albo professionale per lo zelo di autorità e segretari.