La violenza sulle donne è un’epidemia

La criminologa Bruzzone: "Tremila casi finiti in omicidio, i comportamenti violenti frutto di stereotipi"

Migration

"La violenza sulle donne è un’epidemia" secondo Roberta Bruzzone, psicologa forense, criminologa, profiler che ha scritto un nuovo libro "Favole da incubo" – con Emanuela Valente per DeAgostini – dove ripercorre dieci celebri casi di femminicidio degli ultimi anni. Con un piglio diverso rispetto ad altri titoli: le vicende di Guerrina Piscaglia, uccisa dal viceparroco, di Elena Ceste ammazzata dal marito, della "scomparsa" Roberta Ragusa o di Arianna Flagiello istigata a suicidarsi vengono narrate mettendo in luce quei pregiudizi "tossici" a cui hanno obbedito un po’ tutti: le vittime, gli assassini, l’opinione pubblica, i media e persino gli "esperti".

Quali sono i numeri di questa "epidemia"?

"Spaventosi. Dal 2000 a oggi sono più di tremila le donne assassinate nel nostro Paese. Nella violenza sono gli stereotipi di genere a comportarsi come un virus: colonizzano la mente costringendo ad agire in un modo che purtroppo si rivela terribilmente sbagliato. Io nel libro individuo dieci stereotipi ma sono molti di più: quello "madre" verte sulla superiorità degli uomini. Nessuno può essere immune, come con il Covid-19. Se c’è una differenza è che mentre per il virus si è mobilitato un interesse internazionale e al vaccino arriveremo abbastanza rapidamente, per la violenza sulle donne non ho visto tutto questa energia per arrivare a ottenere quel vaccino che serve".

Bisogna fare nuove leggi, aumentare le pene o che altro?

"La legge che abbiamo è ottima. E quanto all’aumento delle pene l’abbiamo già provata questa strada e non mi pare abbia sortito un grande effetto. Il vaccino di cui parlo è culturale. Il problema bisogna affrontarlo dal punto di vista dei modelli di relazione fra i generi, educando tutti alla parità, anche le donne. Infatti gli stereotipi ce li hanno in testa anche loro fino ad essere più maschiliste dei maschi, come dimostra una ricerca che riporto nel libro. È la popolazione femminile (una larghissima percentuale) a ritenere che "se una donna subisce violenza sessuale quando è ubriaca o è sotto l’effetto di droghe è almeno in parte responsabile".

È l’accusa che circola sui social nei confronti della 18enne stuprata nella casa di Alberto Genovese.

"Lo stereotipo che agisce è quello che la vittima che è stata stuprata o uccisa un po’ se l’è cercata, lo si è già visto in moltissime vicende. Pur ritenendo gravi e discutibili le condotte messe in campo - e mi riferisco all’uso di sostanze - bisogna chiarire che nessuno va alla ricerca dell’esperienza di finire ammanettata in una stanza per farsi seviziare per ore. Non è che invitando in certe feste dove si consumano fiumi di droga si prende anche il biglietto di stuprare gli invitati".

La lotta culturale dove bisogna farla?

"Nelle famiglie prima di tutto. Le stereotipo di genere si forma entro 23 anni. La scuola ha il suo mandato purché il messaggio non sia affidato alla lezione del "professorone" ma a gente in grado di parlare alle nuove generazioni. Ma anche i giornali hanno le loro responsabilità nella narrazione delle vicende. Se un padre per vendicarsi della donna che l’ha lasciato uccide i due figli e si suicida non si può parlare di "dramma dei padri separati". Basta santificare i carnefici mettendo alla berlina le vittime".

Annamaria Lazzari

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro