NICOLA
Cronaca

La gang degli acrobati. Le ronde in supercar e le incursioni dai tetti: "Questo è miliardario"

Banda smantellata dalla Squadra mobile: quattro albanesi in manette. Il quinto componente morto in un incidente stradale sull’autostrada A1. Aghi di pino nei box per accorgersi di eventuali controlli della polizia.

Palma

I furti in serie, anche per saldare i debiti di uno della banda. Le ronde casa per casa, a caccia del primo appartamento con le luci spente. La fuga su una fuoriserie, poi nascosta in un box di Rozzano. Proprio partendo da quell’Audi Rs3 nera, con targa clonata anti-telecamere, gli investigatori della Squadra mobile sono risaliti all’intero gruppo di ladri albanesi che in due settimane ha assaltato almeno 17 abitazioni, anche se il numero potrebbe a breve salire a quota 40. I quattro presunti membri della gang sono stati fermati martedì mattina tra Limbiate, Paderno Dugnano, Senago e Varedo, in esecuzione del provvedimento firmato dall’aggiunto Laura Pedio e dal pm Milda Milli: all’operazione hanno partecipato anche gli agenti delle Uopi, l’unità specializzata in interventi potenzialmente pericolosi, ma alla fine gli arresti sono stati portati a termine senza particolari tensioni. Durante le perquisizioni, gli investigatori della sezione "Criminalità straniera", guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Giovanni Calagna, hanno sequestrato 50mila euro e diversi monili.

La genesi dell’indagine

Al termine di una precedente inchiesta, che si è conclusa a giugno col fermo di altri cinque ladri originari di Albania e Kosovo, i segugi di via Fatebenefratelli hanno continuato a seguire un filo che li portava a una seconda banda, monitorando i movimenti di un’Audi Rs6 Avant rubata il primo novembre 2022 e passata di mano qualche tempo dopo. A un certo punto, la Rs6 è stata soppiantata dalla Rs3, posteggiata in un primo momento in un box della Bergamasca e poi a Rozzano. Da lì i poliziotti si sono messi sulle tracce del quarantunenne Andrea Alija, l’autista dell’Audi, e pian piano sono risaliti agli altri quattro. Quattro sì, perché della banda faceva parte, stando a quanto ricostruito dall’accusa, pure Saimir Gjoka, che la sera del 18 ottobre si è schiantato sull’A1 direzione Bologna al volante di una Stelvio Quadrifoglio verde. Dopo la morte del trentottenne, i connazionali hanno continuato a colpire con impressionante serialità, mettendo a segno raid a Busto Arsizio, Gallarate, Bussero, Brugherio, Lissone, Monza e Cardano al Campo.

Gli orari fissi

Il presunto capo della gang, il trentaduenne Sajmir Damzi, era affidato in prova ai servizi sociali, con l’obbligo di rientrare a casa entro le 23; per questo, il gruppo colpiva sempre tra le 17 e le 22, così da permettere al leader di rispettare gli orari previsti dalla misura alternativa alla detenzione. Secondo le indagini, erano lui e il trentenne Kristian Filopati gli operativi che penetravano nelle case scalando le facciate dei palazzi o calandosi dai tetti. I quattro non avevano con loro i cellulari, per dribblare i controlli sui tabulati telefonici, e comunicavano via walkie-talkie. Le ambientali della polizia ne hanno comunque registrato i dialoghi incalzanti durante le azioni criminali. Come quello captato il 25 ottobre a Gallarate. Il cugino di Damzi, il trentaquattrenne Ermal, è in macchina con Alija: i due attendono notizie dai complici. "Vedi che il primo e il terzo (appartamento, ndr) sono accesi, invece il secondo è spento... ti giuro che deve essere un miliardario... è una residenza", si dicono tra loro. La stessa sera, la banda colpisce a un altro indirizzo: il proprietario è in camera da letto a leggere un libro e si accorge solo in un secondo momento che qualcuno è entrato dalla portafinestra e gli ha svuotato il portafogli.

L’attenzione maniacale

Le macchine venivano sottoposte a bonifiche continue per intercettare le cimici: in un’occasione, un veicolo è stato dato alle fiamme dopo aver scoperto un microfono. I ladri erano così accorti che sistemavano alcuni oggetti nei garage (un ago di pino e un pezzo di scotch) e ne fotografavano la posizione precisa per accorgersi di eventuali visite indesiderate. Stratagemmi che non sono bastati a evitare le manette.