Mario Negri: "Noi, liberi dalla politica da 60 anni. Così batteremo Alzheimer e tumori"

L'idea ha preso forma nel 1957 durante un viaggio negli Stati Uniti

Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri

Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri

Milano, 15 giugno 2017 -L'idea ha preso forma nel 1957 durante un viaggio negli Stati Uniti «dove il ricercatore era già un professionista e la ricerca era dappertutto. Da noi invece era ancora più un passatempo che un lavoro...». Così Silvio Garattini ha fondato l’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, nome del gioielliere che prima di morire gli lasciò 100 milioni di lire (era il 1960). Dalla sede originaria di Quarto Oggiaro, una decina di anni fa il quartier generale si è trasferito in via La Masa, zona Bovisa, accanto al campus del Politecnico, e oggi accoglie 500 persone a cui se ne aggiungono altre 200 della sede bergamasca. Il professor Garattini, 88 anni, scienziato, ricercatore, medico e docente, dirige questo tempio della ricerca di 27mila metri quadrati.

Professore, qual è la missione dell’istituto?

«La prima è fare ricerca. A Milano siamo attivi nel campo delle neuroscienze, cardiovascolare, dei tumori e dell’ambiente. A Bergamo il focus è sulle malattie renali e rare e sul trapianto d’organi. Il secondo obiettivo è formare ricercatori: abbiamo circa 160 persone in formazione e, in oltre 50 anni, abbiamo formato 7mila ragazzi, tra cui 150 professori universitari. La terza missione è quella dell’informazione. Siamo stati i pionieri. E andiamo avanti mantenendo l’indipendenza».

Cioè?

«Siamo liberi dalla politica, non prendiamo brevetti e non accettiamo da nessuna fonte più del dieci per cento del nostro bilancio. Riceviamo donazioni ed eredità, tutti gli anni, segno di apprezzamento».

E dalle istituzioni?

«Pochi sindaci sono venuti a visitare l’istituto, non abbiamo mai visto l’attuale e neppure quello precedente. Vorremmo che la ricerca senza scopo di lucro venisse aiutata. Risparmiando sulle tasse, visto che paghiamo 300mila euro di Imu all’anno, potremmo avere più fondi per la ricerca e le borse di studio».

La ricerca scientifica non ha abbastanza considerazione?

«Non è riconosciuta come parte della cultura. Anche nei giornali, la scienza viene trattata in pagine a parte. E poi, se uno scienziato parla - poniamo il caso - di omeopatia come “acqua fresca” (ho scritto un libro su questo) spesso viene contrapposto a un’altra figura, quasi sempre non medico, che sostiene il contrario».

Dinamica simile a ciò che sta accadendo sul tema vaccini...

«Sì. Ma bisogna guardare ai fatti in modo oggettivo: in passato, migliaia di bambini andavano incontro a disabilità a causa della poliomielite. Oggi no. E, se qualcuno sta male, il suo caso va messo in rapporto con le migliaia di persone che invece hanno avuto vantaggi. E poi non è detto che la causa di un malessere sia il vaccino».

Milano ha le carte in regola per accogliere l’Agenzia europea del farmaco?

«Certamente. Ci sono tante istituzioni scientifiche prestigiose, è una città europea ed è ben collegata».

Fronte malattie: ce n’è qualcuna che riusciremo a sconfiggere a breve?

«Stiamo lavorando su tante, i tempi sono medio-lunghi, da 5 a 10 anni. Tra gli obiettivi c’è quello di migliorare la terapia dei tumori. E poi, con l’aumentare dell’età, avremo sempre più a che fare con Alzheimer e demenza senile: la ricerca punta alla prevenzione. Ma anche a “tenere a bada” malattie oggi mortali, che possono trasformarsi in croniche».

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