Il ruolo dei licei e la futura classe dirigente

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Giovanni

Fattore*

In questi giorni migliaia di studenti e genitori hanno tenuto il fiato sospeso sugli esiti degli esami di maturità. Si tratta di un passaggio fondamentale della vita dei ragazzi. In molti Paesi la fine del ciclo didattico delle superiori viene celebrato al pari del matrimonio ed è considerato più importante del compimento dei 18 anni. Mi soffermo su un tema specifico di questo esame e del percorso che porta al conseguimento: i licei pubblici. Queste scuole formano la prossima classe dirigente. Da diversi anni i licei pubblici milanesi sono diventati molto esigenti nei confronti degli studenti. Spesso richiedono uno studio, oltre alle attività in aula, di 6-8 ore. L’esame di maturità è un momento finale in cui gli studenti sono valutati per le loro conoscenze ma anche per le abilità di presentazione e di capacità di collegare trasversalmente i contenuti delle diverse materie. Un esame molto difficile in cui hanno successo i ragazzi più studiosi e brillanti. Tutto questo non è un male ma ci sono dei “ma”. A mio avviso i ragazzi studiano troppo, non avendo tempo sufficiente per arricchirsi culturalmente al di fuori del contesto scolastico, ad esempio visitando musei e partecipando alla vita sociale e politica della città. Hanno poco tempo per fare attività sportive. E lo sport è un fattore protettivo di rischi sanitari nel breve come nel medio-lungo periodo e sviluppa “soft-skills”, come lo spirito di squadra e l’accettazione delle sconfitte. Il grande impegno nello studio limita anche la socializzazione, relegandola a eventi costosi per le famiglie e spesso fonte di creazione di momenti di segmentazione sociale. Infine è da sottolineare il pesante clima competitivo che si crea nelle classi che colpisce i ragazzi più fragili. Ho fatto il liceo a fine anni ‘70: si studiava molto poco ma il fermento sociale e politico, nella drammaticità della stagione delle stragi e del terrorismo “rosso” fungeva un ruolo di supplenza. Erano altri tempi e lungi da me pensare che fossero migliori. Anzi, quella stagione ha probabilmente contribuito a formare giovani un po’ ignoranti e poco abituati ai sacrifici dello studio. Ma anche la situazione attuale non contribuisce a formare una futura classe dirigente adeguata alle sfide del futuro: il mito della competizione e dell’eccellenza è declinato in modo riduttivo perché concentrato sulla performance scolastica, i processi di socializzazione non sono guidati dalla scuola, manca una sufficiente attenzione alla cultura scientifica, l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali è limitata e, probabilmente involontariamente, si afferma una segmentazione dei ragazzi che mette a repentaglio la coesione sociale e la responsabilità civile degli studenti di famiglie con maggiori risorse economiche e relazionali.

* Università Bocconi

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