Giovanni Allevi e il grazie all’Istituto nazionale tumori, il dg: “Il binomio cura-speranza è la nostra missione”

Il musicista, malato di cancro, ha commosso il pubblico dal palco di Sanremo. Carlo Nicora: “Il rapporto professionale si trasferisce dentro una relazione umana”

Giovanni Allevi

Giovanni Allevi

Milano – "La gratitudine per il talento dei medici, degli infermieri e di tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi".

Il maestro Giovanni Allevi, malato di mieloma multiplo, le ha raccontate ieri dal palco di Sanremo che ha ospitato il suo ritorno al pianoforte dopo quasi 2 anni, come uno dei "doni" che il cancro gli ha lasciato. Quei medici, infermieri e ricercatori sono gli uomini e le donne dell'Istituto nazionale tumori di Milano, dove Allevi è in cura, dove ha "guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo" e da dove ha ammirato "albe e tramonti che non si contano".

Dall'Int parla oggi all'Adnkronos Salute il direttore generale Carlo Nicora: "Quando un malato dice grazie - dichiara - significa che abbiamo raggiunto il punto più alto della nostra missione". "Ho perso molto", ha spiegato Allevi nel suo monologo al festival. "Ho perso il mio lavoro, ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza", ha aggiunto. "Credo che nella malattia ogni paziente cerchi la possibilità di guarire", commenta Nicora. "E soprattutto i malati oncologici - evidenzia - vivono un binomio che io chiamo sempre 'cura e speranza'. Se i malati sentono la necessità primaria di esprimere un grazie, vuol dire che hanno trovato questo binomio cura-speranza dentro un rapporto, un rapporto umano". Ecco perché "dentro la parola grazie, che il maestro Allevi ha pronunciato pubblicamente e che noi leggiamo giornalmente in tanti messaggi di encomio, in tante lettere, io ci vedo tutto - afferma il dg - ma ci vedo soprattutto la prova di essere stati capaci di accogliere il paziente, di abbracciarlo, di essere coinvolti, che la cosa che come esseri umani ci differenzia dai robot, dall'intelligenza artificiale e da tutto il resto di cui avremo sì bisogno, ma che senza quella capacità farebbe perdere alla medicina la sua missione".

E' un concetto che Nicora ci tiene a sottolineare "con forza. I nostri malati, a qualsiasi ospedale si rivolgano, gli si affidano con fiducia, portando dentro di sé la certezza di essere curati al meglio e la speranza di guarire. Il binomio cura-speranza", appunto. "Ma questo rapporto professionale, che ha certo bisogno di investimenti, di organizzazione, di una cornice strutturale adeguata, si esplicita in una relazione umana. Per questo penso che quando il malato dice grazie significa che abbiamo raggiunto il punto più alto: riuscire a trasferire tutto dentro una relazione umana".

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